Si punta arrivare al net zero del 2050 con almeno l’11 per cento di energia prodotta dai nuovi reattori, tutto fermo però sulla gestione delle scorie.
Come il Giappone investe sull’idrogeno per la carbon neutrality
Il Giappone punta sulla transizione energetica con l’idrogeno. Questa è la vera eredità dei Giochi olimpici di Tokyo.
È stata Naomi Osaka, giovane tennista, a dare il via alla trendaduesima edizione dei Giochi olimpici che, dopo il rinvio nel 2020 a causa della pandemia, si sono svolti quest’anno in Giappone. Osaka ha acceso la fiaccola olimpica durante la cerimonia di apertura che si è tenuta a Tokyo il 23 luglio. Se il rituale della torcia non è cambiato, la novità sta nel tipo di combustione che alimenta la fiaccola durante le due settimane dei giochi: per la prima volta si tratta di idrogeno verde, cioè prodotto da energia rinnovabile grazie al nuovo impianto costruito a Fukushima.
A giudicare dagli investimenti che il Giappone sta concentrando sulla produzione e distribuzione dell’idrogeno possiamo sperare che la fiaccola olimpica sia di buon auspicio per un futuro più sostenibile del nostro pianeta.
Un’eredità positiva per il Giappone del futuro
Proprio come i giochi olimpici di Tokyo 1964 hanno lasciato in eredità il sistema di treni ad alta velocità Shinkansen, si spera che i Giochi di Tokyo 2020 lascino in eredità una società dell’idrogeno. Si tratta infatti di una vetrina importante per il carburante del futuro: l’idrogeno verde può essere impiegato per diminuire le emissioni di CO2 in atmosfera e il Giappone è già tra i leader mondiali a livello di investimenti nel settore.
A partire dal villaggio olimpico: sede di migliaia di atleti, si tratta della prima infrastruttura a idrogeno su vasta scala del Giappone e rappresenta un’eredità positiva per il sistema energetico giapponese. Dopo i giochi, infatti, il villaggio sarà trasformato in appartamenti alimentati a idrogeno, una scuola, negozi e altre strutture.
Il Giappone punta alla carbon neutrality entro il 2050
Nel 2017, il Giappone è stato uno dei primi paesi ad adottare una strategia nazionale per l’idrogeno e il governo ha più che raddoppiato i fondi destinati alla ricerca e allo sviluppo di impianti di produzione: nel biennio 2017-2019 sono stati stanziati oltre 250 milioni di euro.
Il Giappone punta a ridurre le proprie emissioni in atmosfera e raggiungere la carbon neutrality entro il 2050. Secondo il ministero dell’Economia, entro il 2030 il Giappone sarà in grado di produrre 300mila tonnellate di idrogeno all’anno (l’equivalente di un gigawatt di potenza installata) e dallo stesso anno l’idrogeno sarà economicamente più conveniente rispetto a ora.
In costruzione il più grande centro di produzione al mondo
La strategia intrapresa dal Giappone è incentrata sulla cooperazione. Dal punto di vista locale, il governo metropolitano di Tokyo (Tmg) ha istituito un centro di ricerca specializzato nello sviluppo di attività integrate per il raggiungimento di una società basata sull’energia all’idrogeno. Per raggiungere tale scopo è stata avviata una collaborazione con l’università tecnica di Tokyo.
Il centro di ricerca è stato alla base di molti dei recenti sviluppi nella tecnologia dell’idrogeno: nel 2020, nella città di Namie, è stato inaugurato il più grande centro di produzione di idrogeno verde al mondo: il Fukushima hydrogen energy research field (FH2R) è stato realizzato da un consorzio di imprese tra cui Toshiba ed è collegato a un enorme impianto solare. Grazie all’elettrolisi, il centro sarà in grado di produrre – il futuro è d’obbligo in quanto l’impianto non è ancora a regime – 10 megawatt di elettricità da idrogeno.
La mobilità passa dall’idrogeno
E poi c’è il settore della mobilità. Il paese ha fissato un obiettivo di 800mila veicoli a celle a combustibile entro il 2030 e una rete di oltre 300 stazioni di rifornimento. Già attualmente ci sono 135 stazioni di rifornimento di idrogeno in Giappone, più di qualsiasi altro paese al mondo. Oltre alle auto, si punta all’incremento di bus pubblici (da 100 a 1200 entro il 2030), di mezzi aziendali (soprattutto carrelli elevatori), con un occhio al trasporto marittimo.
Ma è sul parco auto che il Giappone sta misurando il futuro dell’automobile: Toyota, partner ufficiale delle Olimpiadi, è passata da essere pioniere della mobilità sostenibile con i suoi mezzi ibridi ed elettrici a principale voce di opposizione alla transizione verso i veicoli elettrici.
Come sostiene Hirocho Tabuchi, giornalista del New York Times, dietro questa posizione non c’è solo una preoccupazione di stampo ambientale ma soprattutto un dilemma commerciale: mentre le altre case automobilistiche hanno abbracciato le auto elettriche, Toyota ha scommesso il suo futuro sullo sviluppo delle celle a combustibile a idrogeno, una tecnologia più costosa che è rimasta molto indietro rispetto alle batterie elettriche. Ciò significa che un rapido passaggio dalla benzina all’elettrico sulle strade “potrebbe essere devastante per la quota di mercato e i profitti dell’azienda”, conclude il Nyt.
Ciò che è certo è che le attuali proiezioni di mercato vedono un aumento vertiginoso delle auto elettriche: per fare in modo che questi veicoli siano davvero sostenibili è necessario che il loro rifornimento passi dalle energie rinnovabili (che come sappiamo dipendono a loro volta dalla disponibilità di minerali rari). Per questo la posizione di Toyota è destinata ad aprire la discussione sul futuro della mobilità e sulla necessità di produrre più idrogeno.
L’idrogeno non basta
In conclusione, l’idrogeno avrà un ruolo centrale nella decarbonizzazione dell’economia giapponese. Ma, come spiega il documento ministeriale dedicato alla Green growth strategy, la domanda di elettricità del Giappone crescerà del 30-50 per cento al 2050 e l’idrogeno non riuscirà da solo a soddisfare il fabbisogno energetico del paese.
Gli investimenti previsti consentiranno all’idrogeno di coprire circa il 30-40 per cento della domanda di elettricità. Ma per centrare l’obiettivo di emissioni zero, il governo nipponico punta su energia nucleare e stoccaggio del carbonio emesso delle centrali termoelettriche. Chissà che il quadro non cambi ancora nel prossimo decennio.
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