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Il 1° ottobre è la Giornata mondiale dedicata al caffè. Startup italiane ed estere cercano di ridurre l’impatto ambientale di una bevanda tanto amata.
Dai classici espresso e cappuccino fino ai moderni frappuccini, passando per i più esotici coffee chai dell’Asia o cafè con leche in Sudamerica: il caffè è una passione che può contare su consumatori devoti in qualsiasi parte del mondo. Non poteva mancare una ricorrenza dedicata a questa bevanda: il 1° ottobre di ogni anno si festeggia la Giornata mondiale del caffè. Secondo la International coffee organization, l’organizzazione con sede a Londra che si occupa di monitorare il settore, dopo il calo del biennio pandemico c’è stato un incremento dell’1,7 per cento del consumo di caffè nel 2022/23, con 171,3 milioni di sacchi venduti. In Italia il consumo di caffè nel 2022 ha vissuto una crescita netta rispetto all’anno precedente, con un +5,6 per cento. Non sembra quindi che la macinazione di chicchi sia destinata a diminuire. Anzi, le aziende sono sempre più attente a questo prodotto e di conseguenza sperimentano progetti per valorizzarlo al meglio. Vi presentiamo cinque startup, fra cui due italiane, che vogliono dare una veste più sostenibile al caffè.
L’economia circolare, ovvero il processo per ridurre la quantità di materie prime inserite nel sistema commerciale, ridisegnare beni e cicli manifatturieri e allungare il tempo di vita dei prodotti, si sposa alla perfezione con la cultura del caffè. Lo dimostra la startup italiana Coffeefrom che, a partire dagli scarti di caffè, sviluppa nuovi materiali termoplastici, di riciclo e bio-based, progettando scenari applicativi innovativi e prodotti di design. Penne, tazze e imballaggi: sono molteplici gli oggetti che Coffefrom realizza tramite stampaggio a iniezione e 3D. I materiali ricavati sono biodegradabili e riciclati al 100 per cento; l’azienda ha inoltre depositato una domanda di brevetto per l’estrazione della nanocellulosa dal fondo di caffè e la sua funzionalizzazione per creare materia utile per i compounding termoplastici.
Fra i trend al gusto di caffeina, negli ultimi anni è scoppiato il boom delle capsule e delle macchine speciali per preparare cappuccini e altri drink simili. Preferenze personali a parte, in questo caso si presenta il problema del riciclo. Di per sé le capsule sono di alluminio, materiale riciclabile al 100 per cento, ma i fondi di caffè al loro interno fanno sì che il mix non sia gestibile dai macchinari per il riciclaggio. La semplice azione di separare il packaging dai fondi di caffè basterebbe per rendere i singoli componenti riciclabili e riutilizzabili, mantenendo la circolarità. È questa l’idea alla base della startup italiana Re-fè, che fa parte dell’ecosistema LifeGate Way e ha progettato una soluzione per i consumatori: Re-fè Original, uno strumento per separare le capsule dai fondi con un semplice gesto automatico. Caratterizzato da modularità, utilizzo di materiali a basso impatto e produzione locale con stampa in 3D, l’oggetto permette di riciclare le capsule nel modo migliore. Re-fè contribuisce inoltre alla creazione di comunità circolari di quartiere e lavora alla ricerca di nuovi materiali naturali creati a partire da fondi di caffè per allungare la vita a tutti gli elementi della filiera.
Dai chicchi ai funghi: Cupmena è una startup egiziana nel settore dell’agritech e della gestione dei rifiuti che ha ideato un sistema di raccolta per recuperare il caffè macinato esausto e trasformalo in fertilizzante. Così facendo, si può massimizzarne il valore dei resti e riutilizzarli per sviluppare e potenziare soluzioni per l’agricoltura. “Abbiamo ideato una biotecnologia e una metodologia agricola molto efficiente per coltivare i funghi utilizzando il caffè esausto come terreno principale. In seguito, convertiamo il terriccio usato per i funghi in fertilizzanti organici per fornire al terreno gli elementi necessari dal fondo di caffè. Abbiamo così costruito una catena di valore per aiutare la produzione a liberarsi dei rifiuti in modo sicuro e aiutare l’ambiente” ha spiegato il co-fondatore Abdulrhman Elhalafawy.
Con gli scarti di questo pilastro dell’alimentazione mondiale si possono ricavare persino degli indumenti. Sviluppato per la prima volta da un’azienda taiwanese nel 2008, l’uso dei fondi di caffè per la produzione di abiti è in aumento da allora. L’azienda inglese Sundried, fondata dall’atleta Daniel Puddick nel 2016, ha lanciato Ecotech, una linea di abbigliamento sportivo realizzata con scarti di caffè, residui di plastica e resti di tessuto biodegradabile. Il tessuto presenta una serie di vantaggi, soprattutto per l’abbigliamento da palestra: è ad asciugatura rapida, fa traspirare il sudore e si adatta ai movimenti di chi lo indossa. Inoltre, non ha bisogno del trattamento ad alta temperatura che altri materiali richiedono durante la produzione, riducendo così le emissioni di CO2 in fase di fabbricazione.
A causa dei cambiamenti climatici, si prevede che entro il 2050 diminuirà il numero di regioni in cui si può coltivare il caffè. In alcune zone storiche di raccolta, infatti, ci sarà troppo caldo oppure l’acqua non sarà sufficiente per far crescere la pianta. Per questi motivi, i terreni dove ora si produce il caffè diventano preziosi e vanno tenuti sotto controllo. La startup statunitense Coffee Shift sfrutta la tecnologia blockchain per monitorare la raccolta. La società è in comproprietà con i coltivatori, per condividere con loro i benefici.
Con una presenza aziendale sia nella Silicon Valley in California sia a Chinchina, in Colombia, Coffee Shift si occupa non solo dell’approvvigionamento e dell’importazione dei migliori piccoli lotti di caffè, ma anche dello sviluppo di una tecnologia che consenta ai singoli coltivatori di vendere direttamente ai consumatori e tenere traccia delle transazioni. “Vogliamo cambiare l’attuale ecosistema, in cui la maggior parte dei profitti del commercio del caffè viene assorbita da intermediari e grandi aziende, lasciando il coltivatore a soffrire”, ha dichiarato il fondatore Tyler Pinckard.
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