Prendiamoci cura del clima

Le idee under 30 per salvare il clima, che hanno resistito anche al lockdown

La pandemia non ha fermato l’intraprendenza dei giovani, che continuano a portare avanti i loro progetti per il clima. Un esempio è la rete Global shapers.

Nel 2020 il mondo si è fermato per lunghi mesi, scelta indispensabile per arginare la pandemia da coronavirus. Per la crisi climatica, però, non c’è lockdown che tenga. La paralisi delle attività umane ha fatto scendere solo temporaneamente le emissioni di gas serra climalteranti, ma – avvertono gli scienziati – questo è ancora troppo poco per incidere sulla loro concentrazione in atmosfera e quindi sull’aumento delle temperature medie globali. Alzare la voce per il futuro del Pianeta, quindi, rimane un’assoluta necessità. Le fasce più giovani della popolazione ne sono consapevoli, e anche negli ultimi difficilissimi mesi hanno portato avanti con dedizione le loro idee e iniziative per il clima, con i global shapers.

Global shapers, giovani che vogliono lasciare un impatto

Oltre settemila membri riuniti in 369 hub cittadini che hanno sede in 171 diversi paesi. La loro età? Rigorosamente al di sotto dei trent’anni. Si presenta così la Global shapers community, fondata nel 2011 dal fondatore e presidente esecutivo del World economic forum, il professor Klaus Schwab. A muoverlo, la volontà di incoraggiare la futura classe dirigente ad avere un ruolo attivo a livello locale, regionale e globale.

Lessons from the pandemic. Nilupuli Andrahennadi from Global Shapers Colombo Hub. #ShapersSummit20

Pubblicato da Global Shapers su Giovedì 27 agosto 2020

Oggi la community è diventata un’organizzazione no profit ospitata dalla sede ginevrina del World economic forum, che la finanzia e la supporta nell’operatività quotidiana. Gli shapers sono studenti, professionisti, imprenditori, che mettono a disposizione il loro tempo e le loro competenze come volontari. Ogni team si riunisce a intervalli regolari nella propria città, per ideare – e poi realizzare – progetti che rispondano in modo mirato alle esigenze del territorio e della comunità che lo abita.

Sette, per il momento, gli hub italiani. Quello di Palermo, l’unico del sud Italia, a ottobre dello scorso anno ha portato al teatro Garibaldi il suo primo climathlon. Dodici ore di maratona progettuale e creativa in cui cittadini, politici, imprenditori e ricercatori si sono focalizzati su una domanda guida: come può Palermo assorbire più emissioni di quelle che produce? Le soluzioni più promettenti sono state premiate da una giuria. L’evento si è inserito nel più ampio programma annuale fondato da Eit Climate-Kic, il più grande partenariato pubblico-privato europeo per la transizione verso un’economia libera dal carbone.

Nigeria. Piantare cinquemila alberi ad Abuja

Con il suo pil di 397 miliardi di euro nel 2018 è la prima economia africana, superando anche il Sudafrica. Con la sua popolazione di 200 milioni di persone, è anche lo stato più popoloso. La Nigeria è nel pieno di un’ascesa esplosiva, destinata a continuare nei prossimi decenni portandosi dietro uno strascico di complessità. Anche di carattere ambientale.

Global shapers
Abuja, capitale della Nigeria, conta più di un milione e mezzo di abitanti © King Buwa/Unsplash

A partire dal 2015, le emissioni derivanti dalla produzione e dal consumo di combustibili fossili sono aumentate del 15 per cento (i dati sono dell’Agenzia internazionale per l’energia, Iea). Firmando e ratificando l’Accordo di Parigi il governo ha promesso di ridurle del 20 per cento entro il 2030, una quota che potrebbe salire fino al 45 per cento in presenza di aiuti internazionali. Ma la strada – sottolinea Carbon Brief – appare in salita, anche perché le rinnovabili hanno tuttora un peso residuale nel mix energetico.

In un territorio in cui un abitante su tre non ha accesso all’elettricità e più di quattro su cinque non possiedono impianti efficienti per la cottura, bruciare legname o rifiuti spesso è l’unico modo per generare energia. Con due conseguenze. La prima è che per ricavare legname si sacrificano le foreste tropicali; ne sono andati perduti 86,700 ettari tra il 2010 e il 2019. La seconda è che, stando ai dati del 2018, la Nigeria è responsabile di un terzo della concentrazione di particolato fine (PM2,5) dell’intero Continente. Se a questo si aggiungono il traffico veicolare, le industrie e i gruppi elettrogeni a diesel, si arriva a un bilancio di oltre 100mila morti premature l’anno dovute all’inquinamento atmosferico.

E quali sono i nostri migliori alleati, capaci di assorbire CO2 e smog dall’atmosfera? Gli alberi. I Global shapers di Abuja, capitale nigeriana, ne sono consapevoli. E si sono dati la missione di piantarne cinquemila nella loro città. Negli scorsi mesi si sono messi all’opera per reclutare dieci partner (organizzazioni non governative, scuole, associazioni) disposti a piantare cinquecento alberi ciascuno a fronte di un contributo di 250mila naira (poco più di cinquecento euro). Chi accetta la sfida si impegna anche a farsi custode del suo piccolo progetto di riforestazione, seguendolo passo dopo passo e monitorando il suo impatto a lungo termine.

Picture stories from our Tree planting project with our Tree planting partners @ClimateActionTeam @…

Pubblicato da Abuja Global Shapers su Giovedì 25 giugno 2020

Belgio. Tutti in bici in città, ogni martedì

Magari a primo acchito quello di ridurre il proprio impatto ambientale può sembrare un proposito fin troppo impegnativo, ma in realtà esistono innumerevoli abitudini positive che sono alla portata di tutti o quasi. Come quella di inforcare una bicicletta per recarsi a scuola, al lavoro o a fare una commissione. In una città come Bruxelles entra in gioco in modo determinante anche la qualità della vita. La capitale belga si classifica alla 44a posizione del TomTom Traffic Index 2019 con un tasso medio di traffico del 38 per cento, ben superiore alla media globale (29 per cento) e nazionale (30 per cento). Ciò significa che, in media, chi si mette al volante a Bruxelles rimane imbottigliato per un totale di 7 giorni e 6 ore ogni anno; un lasso di tempo che sarebbe più che sufficiente per leggere da cima a fondo le quattromila pagine di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.

L’amministrazione sta cercando di correre ai ripari. Il piano The good move, messo a punto dall’autorità regionale Brussells Mobility dopo un consulto con i cittadini e il comune, ha ipotizzato una serie di misure volte a ridurre del 25 per cento l’uso dell’auto privata: creare nuove linee di tram e metropolitana, istituire “zone 30” in centro città, eliminare 65mila parcheggi su strada, elettrificare la flotta di mezzi pubblici.

Global shapers
Bruxelles è una delle città più congestionate d’Europa © Dan Kitwood/Getty Images

Anche i Global shapers di Bruxelles vogliono dire la loro, puntando soprattutto sul coinvolgimento attivo dei cittadini. Nasce così la fortunata iniziativa Two wheel Tuesday. L’invito è semplicissimo: andare al lavoro in bici ogni martedì. Come superare le ritrosie iniziali di chi non è abituato a pedalare? Innanzitutto con una capillare opera di comunicazione, che spazia dal passaparola ai volantini fino ai contest sui social media. Poi ci sono i servizi, tutti gratuiti. Durante i Bike repair day, per esempio, chiunque può far riparare una bici malmessa presso gli appositi stand allestiti in piazza. Chi ha timore del traffico invece può contattare direttamente i volontari, che si rendono disponibili ad andarlo a prendere a casa e scortarlo fino a destinazione.

Il team di Bruxelles da mesi lavora a stretto contatto con quello di Parigi, che ha dato vita a un’iniziativa analoga in un territorio altrettanto celebre per il traffico opprimente. L’intento è quello di espandere il movimento ad altre metropoli, in Europa e non solo.

Shaping fashion, l’alleanza per una moda più sostenibile

Una delle iniziative più trasversali e partecipate prende il nome di Shaping fashion, è stata lanciata nel 2018 e ha il suo appuntamento di punta nella Fashion revolution week che si tiene ad aprile. La sua missione è quella di dare slancio a un’evoluzione sostenibile della moda, il secondo comparto più inquinante al mondo dopo quello petrolifero. Secondo le stime riportate dal World economic forum, infatti, è responsabile del 10 per cento delle emissioni globali di gas serra e del 20 per cento dello spreco di risorse idriche. Per non parlare delle condizioni dei lavoratori: il Global slavery index lo annovera tra i cinque settori più implicati nel fenomeno della schiavitù moderna, insieme a tecnologia, pesca, coltivazione di cacao e di canna da zucchero.

Per questa campagna, il coronavirus e il conseguente lockdown non sono stati un freno. Anzi. “La pandemia in corso ha amplificato il modello fallimentare dell’industria della moda, caratterizzato da sovrapproduzione e scarti a volumi estremi. In un momento di pausa e rinnovato desiderio di sostenerci reciprocamente in questi tempi incerti, dobbiamo infondere la cultura di prendersi cura dei capi e farli durare a lungo”, si legge nel sito dell’iniziativa. Il primo fronte di intervento è stato quello educativo, con un fitto calendario di webinar dedicati all’impatto sociale e ambientale dell’industria della moda.

L’industria del fashion vale 2 trilioni di dollari ed è responsabile:🏭☠️ del 10% delle emissioni di carbonio a livello mondiale🌊💧di inquinare corsi d’acqua e oceani, mettendo a repentaglio l’intero ecosistema❌😷 dell’uso di sostanze tossiche sia durante i processi produttivi che quelli di smaltimento di tessuti e capi di avanzo🥺🆘 e di condizioni di lavoro disastrose per milioni di lavoratori, soprattutto donne e giovani donne…Did you know?#NOWYOUKNOW✨✨ Reshape fashion with us! ✨✨Source: World Economic Forum#gsmilanhub #milanshapers #globalshaperscommunity #fashion #fashionimpact #fashionrevolution #reshapingfashion #pollution #globalgoals #sustainability #challenge #impact #environment #planet #milan #climatechange

Pubblicato da Global Shapers – Milan Hub su Lunedì 10 febbraio 2020

L’hub di Düsseldorf ha organizzato un workshop digitale sul riuso creativo delle mascherine; da Milano è partita una campagna di sensibilizzazione sui social media, all’insegna dell’hashtag #nowyouknow; il team di Córdoba, in Argentina, ha organizzato una raccolta fondi per donare mascherine al personale di un ospedale della zona.

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