Perché Google è stata multata dalla Commissione europea

Nel mirino di Bruxelles c’è il comparatore di prezzi Google Shopping, che sarebbe stato indebitamente avvantaggiato dal motore di ricerca.

Due miliardi e 420 milioni di euro. È l’ammontare della colossale multa che il 27 giugno 2017 la Commissione europea ha deciso di comminare al colosso di internet Google, sulla base di due capi d’accusa: l’abuso di posizione dominante e la violazione delle regole che garantiscono la corretta concorrenza all’interno dell’Ue. Ma al di là della formulazione giuridica di cosa è stata ritenuta colpevole, in concreto, l’azienda americana?

Google Shopping troppo presente per le autorità Ue: “Consumatori penalizzati”

Chiunque abbia effettuato una ricerca online con l’obiettivo di trovare il miglior prezzo di un articolo in vendita online potrebbe essersi accorto del fatto che Google, come sostenuto dalla Commissione di Bruxelles, avrebbe concesso maggiore visibilità ai risultati relativi al servizio di comparazione dei prezzi di sua proprietà, chiamato Google Shopping. In altre parole, inserendo come chiave di ricerca il nome di un qualsiasi bene nel motore di ricerca, i risultati restituiti tenderebbero a privilegiare il comparatore di proprietà della stessa società, lasciando scivolare ingiustamente più in basso le offerte proposte dalla concorrenza (ovvero altri comparatori come Trovaprezzi, Kelkoo o Twenga). E considerando che quasi tutti gli internauti scelgono proprio Google per effettuare le loro ricerche online, secondo la Commissione si è prodotta una pesante distorsione per i consumatori. Di qui la sanzione-record, ben più alta di quella, anch’essa storica, che fu comminata al produttore di componenti informatiche Intel nel 2009, al quale furono chiesti 1,06 miliardi di euro.

Google Shopping multa
Google Shopping secondo la Commissione europea è stato indebitamente avvantaggiato rispetto alla concorrenza dal motore di ricerca ©Kevork Djansezian/Getty Images

Gli uffici del commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, avevano inviato un atto formale di accusa nei confronti del colosso californiano ormai più di due anni fa, il 15 aprile del 2015. “Google – ha spiegato il membro dell’organismo esecutivo dell’Ue – ha lanciato tanti prodotti e servizi innovativi che ci hanno cambiato la vita. Gli effetti sono indubbiamente positivi. Ma nella strategia attuata per il suo servizio di acquisti comparativi non si è limitata a rendere il suo prodotto migliore di quelli concorrenti per attrarre più clienti: ha abusato della propria posizione dominante come motore di ricerca per promuovere il servizio tra i risultati della ricerca e far retrocedere quello dei concorrenti”. Si tratta di “un comportamento illegale ai sensi delle norme antitrust europee, perché ha impedito ad altre imprese di competere in base ai propri meriti e di innovare. Ma, soprattutto, ha negato ai consumatori europei la possibilità di  scegliere liberamente i servizi”.

La difesa dell’azienda: “Utenti vogliono rapidità, faremo ricorso”

Inizialmente, infatti, Google Shopping si chiamava Froogle e funzionava come un comparatore classico, lasciando in bella vista i prodotti meno cari esistenti sul mercato. La trasformazione risale al 2012, quando al sistema è stato applicato il modello pubblicitario già sperimentato dal colosso californiano con AdWords, il servizio he permette di inserire spazi pubblicitari all’interno delle pagine del motore di ricerca.

Margrethe Vestager commissario Ue
Il commissario europeo alla Concorrenza, Margrethe Vestager ©Friends of Europe/Flickr

Google si è difesa spiegando che “quando si acquista online, si vogliono trovare i prodotti desiderati in modo facile e rapido. Noi presentiamo le pubblicità proposte da decine di migliaia di inserzionisti, piccoli e grandi. Per questo siamo in disaccordo con le conclusioni della Commissione. Analizzeremo nel dettaglio la decisione e pensiamo di presentare un ricorso”. Nel frattempo, l’Ue ha dato 90 giorni al motore di ricerca per modificare il sistema di presentazione dei risultati, se non vuole incorrere in sanzioni ancor più pesanti. Tanto più che l’azienda è nel mirino di altre due inchieste europee: la prima riguarda AdSense, il software che “sceglie” le pubblicità visualizzate sulle pagine che visitiamo, declinandole in funzione dei nostri interessi, del tipo di siti che frequentiamo di più e dunque delle nostre (presunte) preferenze. La seconda si concentra invece sul sistema operativo per smartphone Android.

Il rischio di nuove tensioni con gli Stati Uniti

Inoltre, la decisione della Commissione di Bruxelles arriva meno di un anno dopo la multa comminata ad un altro colosso americano, Apple: in questo caso per aver beneficiato di “vantaggi fiscali indebiti” grazie ad alcuni accordi sottoscritti con l’Irlanda. Tutte decisioni che pare non siano state accolte con favore a Washington e che potrebbero rendere ancor più tesi i rapporti tra Stati Uniti e Unione europea. Le prime ripercussioni potrebbero manifestarsi già alla riunione del G20 prevista ad Amburgo, in Germania, il 7 e l’8 luglio.

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