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La Grecia esce dal piano di salvataggio della troika. Dopo otto anni di austerità, la salute dell’economia è ancora precaria e per molti economisti il piano di aiuti dell’Ue si è trattato di un fallimento.
Il 20 agosto segna la fine formale del piano di salvataggio della Grecia: l’economia non sarà più sotto tutela della troika. D’ora in poi Atene dovrà farcela con le proprie gambe, quindi con le proprie tassazioni o indebitandosi sul mercato finanziario. Finora la Grecia ha ottenuto prestiti per un totale di 289 miliardi di euro, con l’obbligo di compiere riforme e tagli. Ma secondo gli economisti – specialmente quelli inglesi – il piano di salvataggio dell’Unione europea è stato un fallimento. Disoccupazione e povertà dominano la scena economica greca e la ripresa sarà più lenta del previsto.
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Era il maggio 2010 quando, in seguito alla crisi economica nata dalla rivelazione che i governi precedenti avevano falsificato i dati di bilancio dei conti pubblici per far sì che il paese entrasse nella zona euro, la Grecia ricevette il primo di tre pacchetti di aiuti da parte della cosiddetta troika, organo sovranazionale composto da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. A quell’epoca, come ricostruisce Bloomberg, i politici dei paesi creditori dell’area dell’euro sostenevano che la crisi era il risultato di un’indisciplina fiscale ed economica cronica e che per giustificare la violazione di una “clausola di non salvataggio”, i prestiti andavano legati a condizioni rigorose che coprivano tutto, dalla spesa pubblica alla pubblica amministrazione e alla giustizia.
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“L’obiettivo finale del piano di assistenza finanziaria e delle riforme in Grecia negli ultimi otto anni è stato quello di creare una nuova base per una crescita sana e sostenibile”, ha dichiarato il ministro delle finanze portoghese Mario Centeno, che presiede le riunioni delle sue controparti dell’area dell’euro. Eppure dal 2009 al 2017 un terzo del Pil è andato in fumo, mezzo milione di persone è emigrato all’estero e il tenore di vita è crollato dopo che la perdita di oltre un milione di posti di lavoro ha spinto la disoccupazione al 28 per cento (anche se ora pare sia ritornata intorno al 20 per cento).
Inizialmente i pacchetti di salvataggi hanno fatto aumentare le entrate e sono serviti per ripagare il debito accumulato fino al 2009, che aveva oltrepassato di cinque volte il limite fissato dall’Unione Europea. Per mantenere le entrate costanti sono state introdotte più tasse a scapito della classe media e ridotti i servizi. Allo stesso tempo il governo greco ha ridotto gli stipendi di 150mila dipendenti pubblici, assumendo una persona sola ogni cinque non rinnovate. Secondo gli esperti, parte del crollo economico era causato proprio da un’esplosione delle assunzioni nel settore pubblico, per cui questa contromisura era inevitabile. Però nel frattempo questa decisione ha paralizzato il sistema giudiziario per via dei numerosi ricorsi.
“Ci sono state decisioni imperfette, chiamiamoli anche degli errori nei confronti della Grecia da parte delle istituzioni europee e internazionali” ha commentato il Commissario europeo per gli affari economici e monetari Pierre Moscovici “decisioni che hanno pesato sui cittadini greci. Ma i risultati odierni che hanno portato il Paese fuori dalla crisi dimostrano che gli sforzi fatti pagano”. Eppure nonostante la Grecia abbia venduto beni statali, apportato cambiamenti radicali al mercato dell’elettricità e modificato regolamenti che coprono tutto, dagli avvocati ai parrucchieri e nonostante il forte calo del costo del lavoro e il taglio dei salari minimi, ecco che l’economia greca non si sta riprendendo come successo a quelle spagnola o irlandese, anche loro oggetto di prestiti da parte della troika. Esportazioni e competitività internazionale sono stati il volano per Spagna e Irlanda, che però non avevano la stessa condizione di partenza della Grecia.
Si poteva fare diversamente? Diversi economisti sono d’accordo nel dire che molti tagli sono stati troppo drastici e addirittura controproducenti: il taglio alle spese ha prodotto una pressione fiscale oggi più alta che in buona parte dei paesi dell’Unione europea, come rileva Miranda Xafa del Centre for international governance innovation e riportata da Internazionale. Questo è uno dei principali fattori che sta probabilmente soffocando la crescita. La soglia dell’esenzione d’imposta è più alta dello stipendio medio dei lavoratori del settore privato: bisognerebbe quindi creare un clima più favorevole alle imprese.
Insomma, l’attività economica rimane ben al di sotto dei suoi livelli pre-crisi. La ripresa c’è ma è debole e non è da escludere che nuovi crolli possano minare il poco fatto finora. Di sicuro, quello che il piano di salvataggi ha generato, dice il Guardian, è la frattura politica: “Una volta gli elettori credevano che se avessero lavorato sodo, avrebbero guadagnato un salario dignitoso e che in tempi di difficoltà lo stato si sarebbe preso cura di loro”, riporta il quotidiano britannico. “Se questa convinzione non regge più, molto a che vedere con quello che è successo negli otto anni in Grecia”.
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