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Ttip, guerra al terrorismo, finanza, cambiamenti climatici e diritti lgbt. Cosa cambia, e cosa no, se vince Clinton.
Che ripercussioni avrebbe la politica di Hillary Clinton sull’Europa e sull’Italia nel caso in cui la candidata americana diventasse presidente degli Stati Uniti d’America l’8 novembre? Ecco cinque possibili punti su cui le idee e il programma di Clinton potrebbero influenzare il Vecchio continente.
Per cominciare, l’addio di Barack Obama alla Casa Bianca potrebbe cambiare i destini del Ttip, il Transatlantic trade and investment partnership, vale a dire il trattato tra Stati Uniti e Unione europea per il quale da mesi proseguono trattative più o meno segrete. Hillary Clinton, pur non essendosi espressa in modo chiaro sul tema come i suoi avversari Donald Trump e Bernie Sanders in campagna elettorale, sembra molto meno convinta di quanto non lo sia stato Obama. Due gli indizi: uno è la perplessità mostrata verso il Transpacific trade partnership, l’omologo accordo che gli Stati Uniti hanno stretto con i paesi del Pacifico (“così com’è mi sembra più un errore che un’opportunità, servirebbe un’interruzione della trattativa”, aveva detto). L’altro indizio è il suo programma elettorale che punta molto sul rilancio della piccola impresa, che invece uscirebbe svantaggiata da un trattato mondiale: “Ho detto che voglio essere il presidente delle piccole imprese, e lo dico sul serio”.
Con Hillary Clinton alla Casa Bianca, gli Stati Uniti potrebbero diventare più interventisti, soprattutto nelle situazioni di instabilità che premono ai confini dell’Europa, e quindi dell’Italia. Clinton in politica estera è in disaccordo chiaro con Obama almeno sulla Siria: “Bisognava armare i ribelli contro il dittatore Bashar al Assad, il nostro non fare nulla è stato un errore”. Anche con la Russia, Clinton presidente sarebbe stata molto più dura, sia ai tempi della crisi con l’Ucraina, sia per le presunte ambiguità nella lotta al terrorismo. In questo momento però la strategia europea per il Medio Oriente, tra l’altro sostenuta fortemente dall’Italia, è quella di considerare l’Isis una minaccia più grave di Assad o di Putin.
Hillary Clinton ha promesso un intervento di regolazione su Wall Street e il settore finanziario che potrebbero tutelare anche il nostro continente, in particolare con la separazione tra le banche commerciali e le banche d’investimento. Per esempio, la crisi economica da cui l’Europa sta iniziando solo ora a uscire a fatica nasce nel 2007 negli Stati Uniti, dal crac della Lehman Brothers e dalle crisi di altre banche d’affari come Goldman Sachs e Morgan Stanley: solo otto anni prima, nel 1999, e ironia della sorte sotto la presidenza di Bill Clinton, gli Stati Uniti avevano abrogato sulla spinta della lobby bancaria il Glass-Steagall Act, una legge approntata all’indomani della Grande depressione del 1929 proprio per proteggere i risparmiatori in caso di crac dell’alta finanza. Hillary punta dunque a ripristinare una norma che il marito aveva cancellato, e che probabilmente avrebbe evitato, e potrebbe evitare in futuro, molti guai anche all’Europa.
Non sarà Bernie Sanders, che avrebbe volentieri istituito la carbon tax, la tassa sul petrolio e i combustibili fossili, ma non è neanche Donald Trump, secondo cui i cambiamenti climatici sono “solo una grande bufala”. Sul clima, la presidenza Clinton continuerebbe nel solco di quella Obama, nell’assoluto rispetto degli obiettivi della Cop 21. E forse anche di più: nel programma della candidata democratica c’è far diventare gli Usa “il leader mondiale nella lotta contro i cambiamenti climatici riducendo del 30 per cento le emissioni di gas rispetto al 2005 entro la prossima decade”. Senza contare i 60 miliardi di dollari da stanziare per il Clean energy challenge che “aiuterà gli americani a beneficiare di una economia dell’energia pulita incoraggiando investimenti nell’efficienza energetica”. Insomma, l’Europa beneficerebbe di un’America disposta ad assumere il ruolo di leader mondiale della lotta alla sostenibilità.
Da sempre attiva nel campo dei diritti civili, Hillary Clinton ha inserito all’interno della propria campagna elettorale anche il tema dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, affidandosi anche a un toccante video. Da presidente, Hillary proporrà una legge federale per rendere legittimi in tutto il paese i matrimoni gay, oggi regolati invece da norme locali e legali solamente in 37 Stati. Non solo: alla fine dell’anno scorso un giudice dello Utah ha annullato l’adozione di una bimba da parte di una coppia di lesbiche, e la Clinton ha preso pubblicamente le parti delle due ragazze: “Essere buoni genitori – ha detto – non ha nulla a che vedere con l’orientamento sessuale. Lo dimostrano migliaia di famiglie”. Una spinta progressista del genere da parte di uno paese influente e molto tradizionalista sul tema della famiglia come gli Stati Uniti potrebbe smuovere qualcosa anche nella nostra opinione pubblica. L’Italia ha appena varato una legge sulle unioni civili per le coppie non etero, con tanto di polemiche perché considerati “quasi” omologati ai matrimoni, e da cui è stata cancellata la parte relativa proprio alle adozioni. Adozioni per le quali si lavorerà a una legge apposita dopo l’estate, quando la Clinton potrebbe già essere stata eletta.
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