
Un libro raccoglie storie ed esperienze dei primi quattro decenni di Fondazione Cesvi. Abbiamo intervistato il suo autore, il Presidente onorario Maurizio Carrara.
Dopo aver rischiato l’estinzione negli anni Settanta il lupo è tornato a popolare il nostro Paese. Bracconaggio e ibridazione però ne mettono a rischio la sopravvivenza.
Nelle gelide notti invernali, con tanta pazienza e fortuna è possibile udire un verso profondo e struggente, un suono che viene dalla notte dei tempi. È l’ululato del predatore per eccellenza dei boschi italiani, il lupo (Canis lupus italicus). Oggi sono circa un migliaio i lupi presenti in Italia, un risultato sorprendente se si pensa che la specie aveva rischiato l’estinzione, si stima infatti che nella metà degli anni Settanta sopravvivessero solo cento esemplari.
Grazie anche alle leggi di protezione, come il decreto Marcora del 1976, che ne sancì la tutela integrale e il divieto di caccia totale, il lupo sta riconquistando quegli spazi che gli erano stati sottratti tornando a frequentare vecchie zone di caccia e diffondendosi anche in nuove aree, in virtù della sua straordinaria adattabilità. A favorire il ritorno del lupo, a dispetto delle leggende che vogliono i lupi paracadutati dagli elicotteri dagli ambientalisti, ha contribuito in maniera decisiva anche l’abbandono delle montagne e delle aree pedecollinari da parte dell’uomo. Lo spopolamento ha consentito alla natura di rifiorire e agli animali selvatici di proliferare. Cinghiali, caprioli, daini e cervi sono tornati in gran numero e con loro i lupi che si nutrono di questi ungulati e hanno riconquistato il vertice della catena alimentare.
Fino a pochi decenni fa i lupi riscuotevano poche simpatie ed erano considerati belve feroci e infestanti, nonostante non ci siano segnalazioni di attacchi ai danni dell’uomo. Fino al secolo scorso sopravviveva la figura del “luparo”, cacciatore che per mestiere ammazzava i lupi per poi appenderne le carcasse all’ingresso dei villaggi ed essere ricompensato dagli abitanti. Perfino ambientalisti e guardie forestali ne incoraggiavano la caccia. Anche il Parco Nazionale d’Abruzzo, prima roccaforte della natura italiana, ne incentivava l’eliminazione.
Oggi sono due le minacce principali per il lupo: il bracconaggio e il fenomeno dell’ibridazione causato dal randagismo canino. Il ritorno del lupo ha infastidito soprattutto gli allevatori, disabituati alla presenza del predatore, che vedono minacciata la sopravvivenza del proprio bestiame. Numerosi sono infatti gli attacchi ai danni di pecore, capre e cavalli e gli allevatori si lamentano per indennizzi lenti e insufficienti. La situazione si è esacerbata a tal punto che il bracconaggio ha trovato terreno fertile: bocconi avvelenati e lacci di ferro si stanno diffondendo sempre di più riportando la situazione indietro di mezzo secolo. Basti pensare ai lupi decapitati e impalati per ritorsione rinvenuti recentemente in Toscana. Il fenomeno dell’ibridazione è altrettanto preoccupante, i cani randagi che si accoppiano con i lupi stanno infatti alterando il patrimonio genetico della specie e potrebbero in futuro minarne la sopravvivenza. Nel nostro Paese il fenomeno del randagismo canino è molto più diffuso che in altri stati europei. I dati diffusi dal Ministero della Salute parlano di 600mila cani randagi ma si teme che siano almeno il doppio considerando anche i cani padronali poco controllati.
Già una volta questo splendido e misterioso predatore, dipinto come il male assoluto, ha rischiato di scomparire, oggi le leggi di protezione ci sono ma non vengono fatte rispettare. Anche in virtù del suo importante ruolo ecologico non possiamo permetterci di perdere il lupo e speriamo che il suo ululato possa riecheggiare ancora a lungo nella notte.
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