Addio imballaggi monouso per la frutta e flaconcini di shampoo negli hotel. Lo chiede la Commissione europea

La Commissione europea ha proposto una revisione della legislazione sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. Se confermata, porterà parecchie novità.

“È capitato a tutti di ricevere prodotti ordinati online in scatole troppo grandi, così come di chiedersi come separare i rifiuti da riciclare, cosa fare con un sacchetto biodegradabile o se tutti questi imballaggi saranno riutilizzati o perlomeno trasformati in nuovi materiali con un certo valore”. Il commissario europeo per l’Ambiente, gli oceani e la pesca Virginijus Sinkevičius ha scelto questi esempi di vita quotidiana, in cui chiunque si può riconoscere, per fare capire perché c’è bisogno di un cambio di rotta sul packaging. E perché la Commissione, mercoledì 30 novembre, ha proposto un’ampia revisione della legislazione europea sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. Il pacchetto di norme si pone obiettivi ambiziosi e, per realizzarli, è pronto a scardinare parecchie abitudini e scontentare alcuni segmenti dell’industria. Bisogna comunque ricordare che questa non è ancora una legge, bensì una proposta della Commissione europea che dovrà poi essere esaminata da Parlamento e Consiglio, come prevede l’iter legislativo dell’Unione.

Quanti imballaggi finiscono nella spazzatura

Alcune cifre aiutano a inquadrare meglio il problema. È vero che le merci hanno bisogno degli imballaggi per conservarsi meglio ed essere trasportare in sicurezza, ma è vero anche che per produrli si usano smisurate quantità di materiali vergini. Per la precisione, il 40 per cento della plastica e il 50 per cento della carta fabbricate nell’Unione europea non serve per confezionare un prodotto, bensì il suo packaging.

Quest’ultimo, spesso e volentieri, ha una vita utile di pochi minuti. In media, ogni cittadino europeo produce quasi 180 chili di rifiuti di imballaggio all’anno, circa mezzo chilo al giorno. Una quantità che nell’ultimo decennio è già aumentata di oltre il 20 per cento e, in assenza di contromisure efficaci, è destinata a un altro +19 per cento entro il 2030. E non è detto che l’uso e lo smaltimento siano ottimali. Ne è una prova il boom delle plastiche a base biologica, biodegradabili e compostabili: di sicuro offrono alcuni vantaggi ambientali ma, proprio per questo, i consumatori tendono a sprecarle o a differenziarle in modo sbagliato.

Il primo obiettivo: meno rifiuti

Prima di tutto bisogna fare in modo che entrino in circolazione meno imballaggi, mettendo al bando quelli del tutto inutili. Nello specifico, la Commissione europea propone di vietare i flaconcini di shampoo e sapone negli hotel, i contenitori monouso per cibi e bevande consumate all’interno di bar e ristoranti (come le bustine di zucchero e le salse monodose), gli imballaggi monouso per porzioni di frutta e verdura inferiori a un chilo e mezzo (ad eccezione dei casi in cui sono necessari per conservarle meglio), gli imballaggi multipli per le bevande in lattina.

L’obiettivo è quello di ridurre del 15 per cento i rifiuti di imballaggio pro capite per i cittadini di ciascuno stato membro entro il 2040, rispetto ai livelli del 2018. Ciò significa ridurre del 37 per cento la quantità di rifiuti generati in tutta l’Unione europea, rispetto a un ipotetico scenario in cui le normative rimangono inalterate.

Oltre a mettere in circolazione soltanto gli imballaggi che servono davvero, bisogna fare in modo che essi abbiano più cicli di vita, anche senza finire nella spazzatura. A tale scopo la Commissione vuole imporre alle aziende di offrire ai consumatori una determinata percentuale dei loro prodotti in imballaggi che è possibile riutilizzare o ricaricare. I venditori di birra al dettaglio, i ristoranti che offrono cibo da asporto e gli e-commerce dovrebbero usare contenitori ricaricabili o riutilizzabili per il 10 per cento dei loro prodotti entro il 2030. Una percentuale che sale rispettivamente al 20, al 40 e al 50 per cento entro il 2040. Per agevolare i consumatori, gli imballaggi avranno formati standard e conterranno un’etichetta che spiega se e come possono essere riutilizzati.

imballaggi e-commerce
La Commissione europea vuole che anche i pacchi dell’e-commerce siano riutilizzabili © imaginima/iStockphoto

Il secondo obiettivo: imballaggi riciclabili

Il secondo grande obiettivo è quello di rendere riciclabili tutti gli imballaggi presenti nel mercato dell’Unione europea. E di farlo entro il 2030, in modo economicamente sostenibile. Se confermato, sarà un cambiamento di sistema che riguarderà tanto le industrie quanto i consumatori.

Da un lato bisognerà infatti progettare gli imballaggi in modo diverso e innovare gli impianti di conseguenza. Ogni confezione dovrà essere poi munita di un’etichetta che spiega quali materiali la compongono e come deve essere riciclata; ad oggi esistono già esperimenti simili ma sono portati avanti dai singoli brand, mentre in futuro ci dovrà essere un sistema univoco e armonizzato in tutta l’Unione, un po’ come accade per l’etichetta energetica o per i valori nutrizionali degli alimenti. Come risultato, il tasso complessivo di riciclo degli imballaggi passerebbe dal 66,5 per cento del 2018 al 73 per cento del 2030.

La Commissione chiede inoltre di tornare al vuoto a rendere su cauzione per le bottiglie di plastica e quelle di alluminio.

Il terzo obiettivo: più materiali riciclati

Il terzo obiettivo è quello di evitare il più possibile che, per produrre gli imballaggi, si consumino risorse naturali primarie. La Commissione vuole quindi imporre che nei nuovi imballaggi in plastica ci sia sempre una certa percentuale di contenuto riciclato. “Ciò contribuirà a rendere la plastica riciclata un prodotto di maggior valore, come dimostra l’esempio delle bottiglie in Pet nel contesto della direttiva sulla plastica monouso”, si legge nel sito della Commissione. Queste misure, da sole, potrebbero sforbiciare di 3,1 milioni di tonnellate all’anno il fabbisogno di combustibili fossili dell’Unione europea.

Cosa ha deciso la Commissione europea sulle bioplastiche

Un tema su cui si fa tantissima confusione è quello dei materiali alternativi alla plastica. Una confusione che la Commissione europea riconosce esplicitamente e si propone di sradicare.

Le plastiche a base biologica, comunemente chiamate bioplastiche, sono quelle che non vengono fabbricate a partire dal petrolio bensì da materie prime rinnovabili come mais, grano, patate dolci, canna da zucchero, alghe, oli vegetali e altro ancora. La Commissione chiede innanzitutto che si privilegino le materie prime derivanti da rifiuti organici e sottoprodotti, evitando così di entrare in competizione con l’uso alimentare. Per non ricadere sul greenwashing, inoltre, i produttori dovranno specificare la quantità precisa e misurabile di bioplastica contenuta in ciascun prodotto.

Ci sono poi le plastiche biodegradabili, cioè quelle che possono deteriorarsi nell’ambiente senza lasciare tracce. In questo caso, il rischio è che il consumatore si senta autorizzato a sprecarle, convinto del fatto che siano innocue. La Commissione chiede dunque due cose: che vengano usate soltanto laddove è strettamente necessario e che nell’etichetta ci sia scritto in modo chiaro in quale ambiente si biodegradano, in quali circostanze e in quanto tempo.

Meritano un capitolo a parte le plastiche compostabili, cioè quelle che vanno trattate da idonei impianti industriali di compostaggio. Stando al pacchetto presentato dalla Commissione, saranno consentite soltanto per bustine da tè, capsule e cialde di caffè, adesivi per frutta e verdura e borse di plastica in materiale ultraleggero. Anche in questo caso, con informazioni trasparenti su come gestirle.

Le polemiche in Italia

Impossibile non concordare con la missione di ridurre il packaging in circolazione e, dunque, i rifiuti. Sulle modalità proposte dalle istituzioni europee, però, soprattutto in Italia si è addensata una nuvola di polemiche. Coldiretti e Filiera Italia, attraverso un comunicato congiunto, si dichiarano preoccupate per le aziende di packaging made in Italy che hanno investito per rinnovare i materiali e per l’aumento dei costi di produzione, peraltro in una fase che vede già una crescita generalizzata dei prezzi. Le due organizzazioni esprimono una posizione critica anche sui contenitori riutilizzabili per il take away, per i rischi di carattere sanitario e il dispendio di acqua per il lavaggio. Anche la vendita di prodotti sfusi, a loro parere, compromette la tracciabilità e il controllo sugli alimenti, oltre ad accelerare il loro deperimento.

Anche il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, commentando le bozze in circolazione poco prima del 30 novembre, aveva contestato l’accento posto sul riuso anziché sul riciclo, segmento quest’ultimo sul quale l’Italia vanta performance migliori rispetto ai suoi vicini di casa europei.

Favorevoli invece alcune organizzazioni ambientaliste, tra cui Marevivo (che, anzi, propone di rendere i target ancora più ambiziosi) e Greenpeace.

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