In missione con Sea Shepherd a caccia di reti fantasma

Abbiamo trascorso due giorni a bordo del catamarano Conrad insieme all’equipaggio di Sea Shepherd per assistere alla bonifica della secca di Punta Manara

Porto di Lavagna, Liguria, ore quattro del pomeriggio. Di fronte alla Conrad, catamarano da lavoro in dotazione alla flotta di Sea Shepherd Italia, c’è Andrea Morello, presidente dell’associazione per l’Italia. È lui a darci il benvenuto per i due giorni che passeremo a bordo. L’obiettivo è quello di partecipare e raccontare la missione con la quale verrà bonificata la secca di Punta Manara da attrezzatura da pesca abbandonata in mare e ora incagliata in una zona molto ricca di coralli, quelle che vengono appunto chiamate ghostnet, o reti fantasma, perché perse in mare. Si stima che, ogni anno, vengono perse in mare circa 640mila tonnellate di attrezzature da pesca dove pesci, uccelli, mammiferi marini, tartarughe e molti altri organismi viventi rimangono impigliati e muoiono.

Salvaguardare la diversità dei nostri mari e proteggere le specie che li abitano è l’obiettivo primario di Sea Shepherd fino dalla sua fondazione, nel 1977 a Vancouver, in Canada. Oggi è un’organizzazione internazionale che può contare su una flotta molto vasta e su un numero sempre crescente di volontari che donano il loro tempo e le loro competenze al servizio delle missioni Sea Shepherd.

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La capitana della Conrad, Roberta Pietrasanta © Igor D’India

L’attività di Sea Shepherd Italia e la campagna Ghostnet

L’obiettivo numero uno di Sea Shepherd è quello di salvaguardare la biodiversità marina e proteggere gli ecosistemi che abitano i nostri mari e la sua maggiore attività si concentra nel combattere la pesca illegale con azioni dirette di sabotaggio e guerriglia contro pescherecci illegali. Pattugliamenti e missioni a sorpresa sono una costante per l’equipaggio, interamente formato da volontari eccetto il capitano o la capitana. Da poco più di un anno, oltre all’attività specifica anti bracconaggio, tra le missioni di Sea Shepherd Italia si è aggiunta la campagna Ghostnet, focalizzata sull’attrezzatura da pesca abbandonata nel Mediterraneo.

Il Mediterraneo, come ci spiega Andrea Morello,  è il mare più sovrasfruttato al mondo: questo significa che la pesca, sia legale che illegale, qui sta diventando un fenomeno non sostenibile perché sta distruggendo risorse ed ecosistema. Il fatto che attrezzature da pesca come reti, nasse, piombi, vengano perse o abbandonate – nel caso ad esempio della pesca illegale spesso vengono lasciate in mare di proposito per non essere colti in flagranza di reato – è estremamente dannoso perché, essendo strumenti specificatamente disegnati per catturare e uccidere, continuano a farlo anche quando il loro compito in teoria sarebbe finito. Dal fondo del mare le reti da pesca continuano a intrappolare pesci, uccelli, mammiferi marini, tartarughe e altri organismi che non riescono più a liberarsi e muoiono. Non solo, essendo in molti casi oggetti enormi e pesanti, hanno un effetto catastrofico sul fondale sul quale si depositano, intrappolano magari coralli o altre forme di vita.

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Nelle reti da pesca abbandonate in mare, si stima che ogni anno siano oltre 640mila tonnellate, pesci, uccelli, stelle marine e mammiferi marini rimangono impigliati e muoiono © Igor D’India

“Il problema delle ghostnet è esteso nel Mediterraneo, nell’oceano Pacifico e anche in Antartide, dove abbiamo trovato una rete lunga 72 chilometri mentre altre centinaia e centinaia di chilometri sono stati recuperati nel mar di Cortez, in Messico. Lì mettono a rischio la vita e la sopravvivenza di un mammifero, la vaquita del mare, di cui oggi sono rimasti in totale meno di 20 esemplari in tutto il mondo”.

A livello locale, e più nello specifico in Liguria, i danni e l’impatto delle reti che sono state recuperate dalla secca di Punta Manara potevano essere incalcolabili. Qui infatti nel 1958 è stato individuato per la prima volta nei mari italiani il corallo Savalia savaglia, uno dei più longevi al mondo, tanto che le reti hanno per fortuna solo sfiorato esemplari vecchi di 700 anni. Se li avessero distrutti il danno sarebbe stato incalcolabile. Per questo l’area di Punta Manara è una zona Sic: un Sito di importanza comunitaria: qui la pesca è vietata proprio per preservare la biodiversità di questo angolo di mare, è chiaro quindi come le reti che sono state individuate e poi rimosse provengano da pesca illegale.

L’impegno di Sea Shepherd è massiccio ed è reso possibile sia dai volontari, che da donazioni o sponsorizzazioni. La barca sulla quale siamo stati ospiti, il catamarano da lavoro Conrad, è stato donato da un privato, esattamente come tutta la flotta, e la campagna Ghostnet è in parte sostenuta da Davines, Bcorp della cosmetica professionale che aderisce già a 1% for the Planet, e che devolverà alla causa l’1 per cento dei proventi delle vendite di alcuni prodotti.

L’obiettivo infatti è anche quello, tramite i saloni che offrono i prodotti del brand, di portare avanti un’azione di sensibilizzazione rispetto all’attività di Sea Shepherd e all’importanza di sostenere economicamente la loro attività. Nello specifico, con la campagna “Tuteliamo il mare”, che durerà dal 1 giugno al 30 agosto, con l’acquisto di tre prodotti della linea SU si riceve in omaggio lo shampoo solido (biodegradabile al 99,9 per cento) e l’1 per cento del ricavato verrà versato a Sea Shepherd.

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Una delle due reti recuperate nella secca di Punta Manara, in Liguria, un Sito di Interesse Comunitario per la presenza di coralli centenari: Savalia savaglia © Igor D’India

La vita a bordo della Conrad e la bonifica della secca di Punta Manara

Nei due giorni che abbiamo trascorso a bordo della Conrad abbiamo potuto assistere da vicino alle operazioni di recupero di due reti fantasma, che hanno richiesto il supporto dei subacquei della Ran, Reef alert network, e del Divers center di Portofino, ma abbiamo anche avuto un assaggio di com’è la vita a bordo e di quanto importante sia l’impegno dei volontari. A parte la capitana, Roberta Pietrasanta, a bordo l’equipaggio è composto al 100 per cento da volontari, persone che decidono di devolvere alla causa alcune settimane – il minimo per essere ammessi a bordo è due – oppure diversi mesi.

Maura starà a bordo tutta l’estate, Giovanni, che è un medico ma anche un sub, partecipa a spot alle missioni che richiedono esperienza subacquea. A bordo si mangia solo vegano – non è ammesso portare cibo di altro tipo – non si fuma e non si consumano alcolici: per Sea Shepherd il primo passo per combattere la pesca illegale, quella accidentale o volontario abbandono delle reti in mare, è quello di disincentivare il consumo di pesce. Anche parte del cibo viene donata: piccoli caseifici vegani o label conosciute nell’alimentare, ogni tipo di aiuto è importante per una realtà che è senza scopo di lucro e che si regge su chi crede fermamente nel valore di una salvaguardia così strenua dell’ambiente marino.

Recuperare dell’attrezzatura da pesca abbandonata non è una cosa semplice e richiede la cooperazione di diverse professionalità, per questo l’equipaggio di Sea Shepherd si è avvalso delle collaborazione dei sub di Reef alert network, coordinati nelle operazioni da Bruno Borelli di Ran e da Enrico Salierno, vicepresidente Sea Shepherd Italia e leader della campagna Ghostnet, che ci ha spiegato più nel dettaglio come funziona un’operazione tanto complessa.

“La prima fase è quella di valutazione, che richiede alcune immersioni per determinare in che stato è la rete e poi per pianificare la sua rimozione, che verrà effettuata da più team con compiti diversi. Una volta individuati i compiti di tutti i team i sub si tuffano in acqua, in tempi diversi a seconda delle profondità che devono raggiungere, si suddividono sulla rete e iniziano a lavorare per staccarla dal fondo. La prima cosa da fare è liberarla da tutti gli organismi viventi che vi sono rimasti intrappolati e che, altrimenti, verrebbero strappati con essa: spesso è complicato perché vanno rilasciati subito in mare, altre volte, come nel caso dei crostacei, è qualcosa che si può fare in un secondo momento, una volta che la rete è sulla barca, in modo da guadagnare in sicurezza per l’immersione. Una volta liberata tutta la rete questa viene arrotolata su se stessa e poi, a quote diverse, vengono attaccati dei palloni che poi verranno sganciati tutti insieme per portarla in superficie”.

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Le operazioni per il recupero delle reti sono complesse e prevedono la cooperazione con sub professionisti, oltre ai membri dell’equipaggio in grado di immergersi © Igor D’India

Una serie di operazioni complesse che, oltretutto, espongono i sub a grossi rischi, come specifica Salierno: “Fermo restando che stiamo parlando di immersioni subacquee molto profonde che quindi presentano già dei rischi di per sé, noi lavoriamo vicino a un sistema da pesca studiato per imprigionare esseri viventi e noi siamo pieni di attrezzature e cose che si potrebbero incagliare. Per questo ogni missione prevede un operatore che supervisiona al massimo altri due operatori in modo che, se dovesse succedere qualcosa, la terza persona sia sempre in grado di liberare gli altri. La fase più delicata è quando si riempiono i palloni: la rete tende a salire verso la superficie e rimanere impigliati in quella fase è pericolosissimo, perché farebbe risalire il sub senza rispettare le fasi di decompressione necessarie”.

Rientriamo di nuovo nel porto di Lavagna a pomeriggio inoltrato, la Conrad si muove agile tra le altre imbarcazioni e va a riprendere il suo posto tra barche a vela e motoscafi, è massiccia e la differenza con le sue vicine di ormeggio è palese. Poi, ne sono certa, è diversa anche l’aria che si respira a bordo, che è sempre aria di mare, ma parla meno di vacanze e più di responsabilità. La pesca illegale va contrastata con ogni mezzo, ma è opportuno fare delle riflessioni anche in merito alla pesca tout-court e ai danni che il suo essere ogni giorno più intensiva sta portando al nostro Mediterraneo.

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