
Sei anni fa l’Indonesia era avvolta dal fumo degli incendi, oggi viene citata come esempio per la lotta alla deforestazione. Ma il quadro resta delicato.
Nell’arco di un’estate, l’Indonesia ha perso l’equivalente dello 0,5 per cento del suo pil. È l’effetto degli incendi, quasi tutti di origine dolosa.
Per l’Indonesia il 2019 è stato un anno drammatico. L’anno in cui migliaia di incendi – perlopiù di origine dolosa – sono divampati per mesi, con un’intensità che non si vedeva dal 2015. Secondo le stime ufficiali, tra gennaio e settembre (quando hanno raggiunto il loro picco) hanno ridotto in cenere oltre 620mila ettari di foresta, l’equivalente della superficie della capitale Giacarta moltiplicata per 9. Con tutto ciò che ne consegue per il territorio, la biodiversità, la salute dei cittadini e la qualità della loro vita. Sempre secondo i dati aggiornati a settembre, oltre 900mila persone hanno riportato problemi respiratori e dodici aeroporti sono stati costretti a sospendere le operazioni, così come centinaia di scuole tra Indonesia, Malesia e Singapore. Passata l’emergenza, la Banca mondiale fa la conta dei danni. E il prezzo appare salatissimo, anche in termini economici.
Indonesia fires cost nation $5 billion this year: World Bank – https://t.co/pdmqR4t0NT pic.twitter.com/YNNjhCMOVz
— Mongabay (@mongabay) December 21, 2019
Nelle otto province maggiormente colpite dai roghi, i danni registrati tra giugno e settembre sono stimati in 5,2 miliardi di dollari. Nell’arco di un’estate, insomma, è andato in fumo lo 0,5 per cento del pil. Agricoltura, trasporti, industria, commercio e ambiente i comparti più colpiti. Per la precisione, i danneggiamenti materiali veri e propri si sono attestati sui 157 milioni di dollari, mentre gli altri cinque miliardi corrispondono al volume d’affari perso dai vari settori economici. Sono stati messi in ginocchio soprattutto gli enti locali. I calcoli preliminari affermano che la provincia più colpita è quella del Kalimantan Centrale, che ha subito perdite pari al 7,9 per cento del pil, seguita dal Kalimantan Occidentale con il 6,1 per cento.
E sembra che non sia finita qui. Ci vorranno almeno 2-5 anni per far tornare alla normalità la produzione di legname e colture perenni. Da qui le previsioni al ribasso per la crescita economica del 2019 e del 2020, che secondo la Banca mondiale rallenterà rispettivamente di 0,09 e 0,05 punti percentuali. Prevista una flessione anche per l’export di olio di palma, che ha subito i contraccolpi dell’ondata di indignazione internazionale e del piano dell’Unione europea che lo metterà al bando nei biocarburanti entro il 2030.
L’industria dell’olio di palma, infatti, è tra i principali indiziati per questo disastro. Da più di vent’anni gli incendi dolosi sono diventati un problema cronico, ricorda la Banca mondiale, perché sono ritenuti il metodo più economico e veloce per preparare i terreni per la coltivazione, o per risolvere le dispute sulla loro proprietà. Le condizioni climatiche e ambientali non aiutano. Il 44 per cento delle aree interessate dai roghi di quest’anno è costituito da torbiere, dove è decisamente più difficile fermare le fiamme, e dove il fumo denso e carico di CO2 si propaga in fretta nell’atmosfera.
Nel corso del 2019 il ministero dell’Ambiente e delle foreste ha trascinato in tribunale 17 aziende: nove di esse sono state condannate a pagare sanzioni per un totale di 225 milioni di dollari, riporta Mongabay News. Briciole rispetto alle reali dimensioni del disastro, fanno notare gli ambientalisti. Per avere un metro di paragone, la Bnbp (l’equivalente locale della nostra Protezione Civile) quest’anno ha già speso 213 milioni di dollari per domare le fiamme, il triplo rispetto alla norma. Denaro che va ad aggiungersi a quello stanziato dal ministro dell’Ambiente e dagli altri enti pubblici.
La stima clamorosa della Banca mondiale, per giunta, è parziale. Perché non tiene in considerazione le conseguenze che si manifesteranno sulla salute della popolazione nel lungo termine. Mongabay News cita un’analisi della ong Madani, secondo la quale in almeno 45 distretti e città si registrano livelli inusualmente alti di PM2,5, il particolato sottile che l’Organizzazione mondiale della sanità correla all’insorgere di asma, problemi respiratori e patologie cardiache. “Gli incendi di quest’anno potranno essere finiti ora che la pioggia inizia a cadere, ma il disastro non termina qui”, commenta il direttore esecutivo di Madani, Teguh Surya. “Gli impatti non si verificano soltanto oggi ma devono essere calcolati nei prossimi vent’anni”.
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