Con un grande progetto di ripristino, Baltimora vuole riportare in salute oltre 200mila metri quadrati di zone umide lungo 18 km di costa.
L’inquinamento acustico può avere gravi conseguenze anche sulle piante
L’inquinamento acustico rischia di alterare la composizione vegetale di alcuni ecosistemi anche dopo essere stato rimosso.
A volte l’intero equilibrio della Terra, dipende da azioni semplicissime. Alcuni animali, ad esempio, impollinano i fiori, altri spargono i semi delle piante, altri ancora li sotterrano, contribuendo a mantenere intatta la biodiversità e l’omogeneità della vita vegetale in alcune aree, che a sua volta garantisce loro la sopravvivenza. Ma cosa succede quando questo equilibrio si interrompe, magari a causa dell’inquinamento acustico generato dall’essere umano? Alcuni animali decidono di lasciare quei territori e con la loro assenza cambia anche la composizione vegetale. Che potrebbe non tornare più la stessa, persino molti anni dopo la rimozione del rumore. È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the Royal society, uno dei primi sugli effetti a lungo termine dell’inquinamento acustico sulla vita vegetale.
Il primo studio sugli effetti a lungo termine dell’inquinamento acustico per la vegetazione
Questa analisi prosegue il lavoro pubblicato nel 2012 dal National evolutionary synthesis center che aveva provato come, nel Nuovo Messico, l’inquinamento acustico generato dai siti di estrazione interferisse con l’impollinazione e la dispersione dei semi, attività effettuate da animali sensibili ai rumori. Ad esempio, la popolazione di pini si era ridotta, in quanto gli animali che si occupavano di spargere i semi erano particolarmente turbati dai rumori. Al contrario, erano aumentati i fiori perché i colibrì che li impollinano non sono così sensibili.
“L’inquinamento acustico può influenzare i comportamenti e la distribuzione delle specie, cosa che potrebbe provocare gravi conseguenze per la vita negli ecosistemi”, si legge nello studio curato dai ricercatori Jennifer N. Phillips, Sarah E. Termondt e Clinton D. Francis. In passato, diverse ricerche hanno analizzato gli effetti a breve termine del rumore, ma nessuno aveva mai indagato se questi persistessero nel lungo termine e se le comunità animali e vegetali potessero riprendersi.
Il cerchio della vita
“Abbiamo studiato gli effetti dell’estrazione di gas naturale nel Nuovo Messico sulle plantule di alberi locali come il pino del Colorado (Pinus edulis) e un tipo di ginepro (Juniperus osteosperma), oltre che sulla varietà della vegetazione – si legge –. Inizialmente abbiamo analizzato questi due elementi in luoghi dove l’inquinamento acustico è presente da più di quindici anni. In un secondo momento, abbiamo esaminato dei territori in cui i rumori sono stati recentemente rimossi o, al contrario, introdotti”.
I ricercatori hanno scoperto che, in base al livello di rumore registrato, l’inquinamento acustico provoca effetti negativi sul lungo termine sul processo di germogliazione, sull’omogeneità e sulla composizione della vegetazione. Inoltre, le comunità vegetali non si sono riprese del tutto dopo la scomparsa dei rumori. “La cosa potrebbe essere dovuta in parte a un ritardo di ripresa tra le popolazioni animali che disperdono i semi e impollinano le piante. Questi effetti potrebbero continuare nel tempo e potrebbe non esserci una ripresa immediata dopo la fine dei rumori”, concludono i ricercatori.
Sarah Termondt, co-autrice dello studio, ha dichiarato al quotidiano Guardian che “se si toglie la possibilità ad un seme di crescere in una zona perché un uccello non lo deposita più lì, potrebbe cambiare l’habitat anche di molte altre specie”. Inclusa la nostra.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Il riscaldamento globale ha spinto la Federazione internazionale dello sci e l’Organizzazione meteorologica mondiale a firmare un protocollo d’intesa.
Con Raimondo Orsini, direttore della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, abbiamo esplorato i temi chiave degli Stati generali della green economy 2024 il 5 e 6 novembre.
Entro il 2025, 40 porti italiani saranno dotati di spugne per assorbire gli oli. Si inizia da cinque tappe simboliche: Napoli, Messina, Brindisi, Ravenna e Trieste.
Una stretta opera di sorveglianza anti-bracconaggio ha dato i suoi frutti: il parco nazionale di Kaziranga ha quasi azzerato le uccisioni di rinoceronti.
A Palazzo Bovara apre al pubblico una tre giorni di confronto e conoscenza della moda sostenibile dal titolo Smart Closet.
Un aumento del 30% rispetto all’anno precedente, che risente anche delle conseguenze dei cambiamenti climatici.
Dall’11 al 13 ottobre a Parma c’è Fragile: il festival per trovare soluzioni e strategie per ridurre il nostro impatto sul pianeta.
Approvato quasi due anni fa, il regolamento sulla forestazione importata dovrebbe entrare in vigore il 31 dicembre. Ma in tanti chiedono una revisione.