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Julien Collet, dirigente dell’Autorità per la sicurezza nucleare francese, spiega in questa intervista che i rischi per i reattori non possono essere azzerati.
“Centrali nucleari sicure al 100 per cento non esistono. Si può fare ciò che è necessario per tentare di minimizzare i rischi, ma è impossibile escludere un incidente”. A spiegarlo a LifeGate è Julien Collet, vicedirettore generale dell’Autorità per la sicurezza nucleare francese.
A trent’anni dalla catastrofe di Chernobyl, qual è il livello di sicurezza attuale delle centrali nucleari francesi?
Noi effettuiamo una revisione periodica, ogni dieci anni, oltre ai controlli di routine. In quell’occasione, operiamo un controllo approfondito sulle installazioni. Anche sulla base delle nuove conoscenze e tecnologie che nel frattempo sono state acquisite. Dopo Fukushima, in particolare, in Europa sono stati disposti degli stress test specifici.
E sulla base di tali controlli si può escludere un incidente con gravi conseguenze anche nel nostro continente?
Il nucleare sicuro al 100 per cento non esiste. Dei rischi esistono, è innegabile. Il nostro compito è fare di tutto per evitare una catastrofe, e il metodo di lavoro è quello della prevenzione. Anche per limitare le conseguenze di un eventuale incidente, con i piani d’emergenza disposti per chi abita nelle vicinanze delle centrali. La popolazione nel raggio di dieci chilometri, ad esempio, riceve pasticche di iodio. E esiste un piano di distribuzione per l’intera popolazione nazionale in caso di necessità.
Anche nei paesi limitrofi che non hanno centrali nucleari sarebbe il caso di attrezzarsi con piani simili?Quando i nostri reattori sono a meno di dieci chilometri da una frontiera, i piani di emergenza sono coordinati con le autorità dei paesi coinvolti. Per il resto, le decisioni spettano ai singoli governi…
Alcune ong, come Greenpeace, affermano che determinate centrali sono troppo vecchie. E la città di Ginevra ha chiesto ufficialmente di chiudere quella di Bugey. Possibile che si sbaglino tutti?
I reattori francesi attualmente rispondono agli standard di sicurezza fissati dalla legge.
Questi standard sono sufficienti?
Uno degli obiettivi della nostra Autorità è la loro revisione sistematica, nel corso del tempo.
Il reattore Epr di ultima generazione in costruzione a Flamanville ha subito degli stop a causa di importanti problemi. Quello di Olkiluoto, in Finlandia, fabbricato anch’esso dalla francese Areva, ha accumulato ritardi enormi. E i costi esplodono. Perché?
È vero che ci sono stati numerosi stop al cantiere di Flamanville, ma va tenuto conto del fatto che si tratta di un progetto industriale estremamente complesso. Inoltre, più in generale, è da quindici, venti anni che in Europa non si costruiscono reattori. È chiaro che ci sono difficoltà legate alle competenze e anche al tessuto industriale: c’è una filiera di fornitori completamente da ricostruire.
Edf è una delle industrie maggiormente coinvolte nel nucleare in Francia, ma appare in condizioni finanziarie non proprio esaltanti. Ciò pone dei problemi in termini di sicurezza?
La nostra Autorità non consiglia, ma prescrive degli standard, dei test, delle misure di sicurezza: le aziende non hanno la facoltà ma l’obbligo di attenersi a tali indicazioni.
Rimane il rischio che un’impresa in difficoltà possa fare di tutto per risparmiare…
Ammetto che il contesto possa risultare preoccupante. La buona salute finanziaria è effettivamente un parametro di cui tenere conto per garantire la sicurezza. Ma proprio per questo siamo sempre più vigilanti, con Edf e con le altre industrie.
Quindi i rischi non possono essere azzerati.
Esatto.
Lei una casa a pochi chilometri da una centrale nucleare francese la comprerebbe?
[Ride].
Non mi ha risposto…
Le posso dire che un collega ne ha una non lontana da un reattore…
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