
Il 2 giugno si celebra la Giornata mondiale delle torbiere. Un’occasione per parlare di questi ecosistemi poco conosciuti e silenziosi, ma fondamentali per il clima, l’acqua, la biodiversità e la memoria del nostro Pianeta.
“Se la metà degli animali dello zoo di Londra morisse nelle prossime settimane, la notizia sarebbe sulle prime pagine di tutti i giornali. Questo è ciò che succede nella realtà”. È con queste parole che Ken Norris, direttore scientifico della Società zoologica di Londra (Zoological society of London, Zsl), ha presentato il Living planet report
“Se la metà degli animali dello zoo di Londra morisse nelle prossime settimane, la notizia sarebbe sulle prime pagine di tutti i giornali. Questo è ciò che succede nella realtà”. È con queste parole che Ken Norris, direttore scientifico della Società zoologica di Londra (Zoological society of London, Zsl), ha presentato il Living planet report 2014, il rapporto biennale redatto insieme al Wwf.
I nuovi dati mostrano un calo della popolazione mondiale di pesci, uccelli, mammiferi, anfibi, rettili del 52 per cento tra il 1970 e il 2010 a causa di inquinamento e distruzione degli habitat naturali. Una percentuale molto più alta di quanto si pensasse finora raggiunta analizzando quasi 15mila animali appartenenti a 3.169 specie. Lo stesso rapporto di due anni fa, infatti, sosteneva che il declino tra il 1970 e il 2008 fosse pari al 28 per cento.
I numeri danno una chiara idea del fatto che l’umanità stia chiedendo sforzi troppo grandi al nostro pianeta, troppi rispetto a quanto la Terra può offrire. “È essenziale rivedere la possibilità – visto che ancora siamo in grado – di svilupparci in modo sostenibile e creare un futuro dove le persone possano vivere e prosperare in armonia con la natura” ha detto Marco Lambertini, direttore generale di Wwf International, perché proteggere la natura “significa proteggere il futuro dell’umanità”.
La ricerca ha dato vita, per la prima volta, al Living planet index che riflette lo stato di salute di tutte le 45mila specie conosciute di vertebrati. L’altro indice presente nel rapporto calcola l’impronta ecologica dell’umanità. Oggi l’uomo taglia alberi più velocemente di quanto questi possano ricrescere, cattura più pesci di quanti l’oceano sia in grado di offrire, svuota fiumi e altri corsi d’acqua più velocemente di quanto la pioggia riesca a riempirli. Produciamo più CO2 di quanta la Terra sia in grado di assorbire. Con questo ritmo, l’umanità ha bisogno di un pianeta e mezzo per essere soddisfatta. Due e mezzo (2,6) se tutta la popolazione mondiale consumasse quanto un occidentale, italiani compresi.
L’habitat più a rischio è quello fluviale visto che la popolazione animale che vive intorno ai corsi d’acqua è calata del 75 per cento a causa della costruzione di dighe troppo grandi per non trasformare per sempre l’ambiente circostante. In generale sia la popolazione degli animali che vivono sulla terra, sia quella che vive negli oceani e nei mari sono calate del 40 per cento. Le specie che stanno peggio sono gli elefanti africani, il cui tasso di natalità è inferiore alle morti causate dal bracconaggio, i rettili europei, il cui habitat è ormai quasi inesistente, e le tartarughe marine, la cui popolazione è crollata dell’80 per cento.
Per cambiare e invertire questa tendenza basterebbe cominciare a rispettare le promesse fatte dai capi di stato e di governo che hanno partecipato al Climate summit di New York. In quella sede ci si è posti l’obiettivo di dimezzare il tasso di deforestazione nel giro di sei anni per poi azzerarlo entro il 2030. Un risultato che, se venisse raggiunto, sarebbe il punto di partenza per dare al mondo animale la pace di cui ha bisogno per tornare a crescere, più velocemente rispetto alla fame di risorse che l’umanità mette sul piatto.
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