Nessuna città italiana rispetta i limiti sull’inquinamento atmosferico, secondo Legambiente

Ad oggi, non c’è un singolo capoluogo di provincia italiano in cui i livelli di inquinamento atmosferico siano compatibili con i valori fissati dall’Oms.

  • L’ultima edizione di Mal’aria di città, il report dell’organizzazione ambientalista Legambiente, conferma che l’inquinamento atmosferico è un problema gigantesco per le città italiane.
  • Di recente l’Oms ha rivisto le soglie per NO2 (biossido di azoto), PM10 e PM2,5 (polveri sottili). Sulle 102 città italiane capoluogo di provincia, nessuna le rispetta.
  • Nell’arco di pochi anni queste linee guida, pensate per tutelare la salute delle persone, diventeranno vincolanti anche a livello legale.

Sono tre i parametri più importanti per misurare l’inquinamento atmosferico: NO2 (biossido di azoto), PM10 e PM2,5 (polveri sottili). L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per ciascuno di essi ha posto dei limiti, al di sopra dei quali è lecito parlare di rischi per la salute umana. Sulle 102 città italiane capoluogo di provincia, nessuna ha rispettato tutti e tre questi valori nel corso del 2021. Nessuna. È il dato clamoroso che emerge dall’ultima edizione di Mal’aria di città, il report dell’organizzazione ambientalista Legambiente, realizzato nell’ambito della campagna Clean cities.

Nelle città italiane l’inquinamento atmosferico è un problema gigantesco

Lo studio Mal’aria di città si basa sulle rilevazioni effettuate nel corso del 2021 da 238 centraline collocate nei 102 capoluoghi di provincia italiani.

Polveri sottili

Quasi tutte (230) hanno misurato il PM10, cioè il particolato atmosferico più grossolano che viene prodotto dalla combustione dei motori delle auto (soprattutto quelle più datate) e dagli impianti di riscaldamento, in particolare stufe e caminetti a legna. Ben 56 in 31 diverse città hanno superato per più di 35 giorni il limite di legge di 50 milligrammi per metro cubo (μg/mc). Soltanto nove hanno rispettato il nuovo limite – ben più severo – imposto dall’Oms, pari a 15 μg/mc. I valori record sono stati registrati in piena pianura Padana, a Milano (37 μg/mc), Torino (36) e Catania (35).

Poi c’è il PM2.5, cioè il particolato atmosferico ancora più fine e ancora più pericoloso perché entra nella circolazione sanguigna. Può essere primario, quando viene emesso dai processi di combustione, oppure secondario quando si forma a seguito di reazioni chimiche tra altri inquinanti. Sulle 139 centraline che lo hanno monitorato, una – quella collocata all’ospedale Santobono di Napoli – ha registrato una media annua di 28 μg/mc, superiore al limite di legge di 25. Il limite dell’Oms è decisamente più basso, cioè di 5 μg/mc. Nessuna centralina è riuscita a rispettarlo.

Inquinamento
Inquinamento atmosferico © David McNew/Getty Images

Biossido di azoto (NO2)

Infine il biossido di azoto, NO2, dovuto soprattutto ai motori diesel. Sulle 205 centraline che l’hanno monitorato, soltanto 14 sono rimaste entro il limite di 10 μg/mc raccomandato dall’Oms. All’estremo opposto, 13 hanno superato addirittura il limite di legge di 40 μg/mc; le situazioni peggiori sono state rilevate a Napoli, Torino, Firenze, Milano, Palermo, Catania, Roma e Genova.

Bisogna abbattere l’inquinamento atmosferico

Per allinearsi alle raccomandazioni dell’Oms bisognerà sforbiciare in media del 33 per cento i livelli di PM10, del 61 per cento quelli di PM2.5 e del 52 per cento quelli di NO2. Un’enormità. Ma nel giro di pochi anni, ricorda il responsabile scientifico di Legambiente Andrea Minutolo, queste linee guida diventeranno vincolanti a livello legale. La nuova direttiva europea sulla qualità dell’aria infatti verrà calibrata anche in funzione dei valori fissati dell’Oms e prevedrà procedure di infrazione per gli stati membri inadempienti. Procedure per l’infrazione che per l’Italia non sono una novità, visto che al momento ne ha tre all’attivo.

Le proposte di Legambiente per tornare a respirare aria pulita

Duro il commento del presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani: “L’Italia deve uscire al più presto dalla logica dell’emergenza e delle scuse che ha caratterizzato gli ultimi decenni fatti di piani, parole, promesse – spesso disattese – e scuse per non prendere decisioni, anche impopolari, per cambiare faccia alle nostre città e abitudini alle persone”.

Tra queste decisioni c’è quella di ridisegnare gli spazi urbani per renderli a misura d’uomo, seguendo il modello della “città a 15 minuti” dove ogni quartiere è dotato dei servizi essenziali, ampliando le “zone 30” e quelle interdette alle auto. Questo è necessario anche per incentivare gli spostamenti a piedi, in bici oppure a bordo di mezzi elettrici in condivisione, da rendere disponibili anche nei centri più piccoli. Sempre sul fronte della mobilità, Legambiente spinge per il potenziamento del trasporto pubblico elettrico (con 15mila autobus, 150 chilometri di reti tranviarie e 500 treni in più), la realizzazione di 5mila chilometri di ciclovie e piste ciclabili e l’adozione di mezzi elettrici per le consegne a domicilio. In parallelo, sostiene, bisogna azzerare gli incentivi per l’acquisto di auto a benzina e diesel, fino a toglierle dal commercio nel 2030.

L’inquinamento atmosferico però non è dovuto soltanto ai trasporti, ma anche agli edifici. I vari incentivi fiscali, bonus 110 per cento in primis, devono quindi diventare l’occasione per una “drastica riconversione delle abitazioni a emissioni zero” con la dismissione delle vecchie caldaie a gasolio e carbone, di pari passo con “un grande piano di qualificazione energetica dell’edilizia pubblica. Infine, l’agricoltura. Settore in cui è indispensabile ridurre le emissioni di ammoniaca, regolamentare lo spandimento di liquami nei mesi invernali e abbandonare il modello degli allevamenti intensivi.

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