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La Lombardia è in piena zona rossa: per le misure di contenimento del coronavirus, e per lo smog salito ben oltre i livelli di guardia.
Un indice di qualità dell’aria (Iqa) di 183, con 117 microgrammi al metro cubo di PM2,5 in atmosfera. Spalancando le finestre la mattina del 20 gennaio, i cittadini milanesi hanno accolto nelle loro case una quantità di smog che supera di gran lunga i livelli di guardia. Per avere un termine di paragone, l’Iqa (calcolato sulla base degli inquinanti più diffusi) è da ritenersi “scadente” già dopo un valore di 100. Per il PM2,5 non c’è un limite giornaliero, ma la concentrazione media annua dovrebbe restare al di sotto dei 25 microg/m3.
Con una significativa coincidenza, domenica 17 gennaio la Lombardia è tornata in zona rossa in tutti i sensi. Per le misure di contenimento del coronavirus, e per i picchi raggiunti dallo smog a Milano dopo un inizio di anno altalenante. Per ora il record negativo è stato toccato il 18 gennaio con un Iqa di 196. Il giorno successivo Milano si è spartita con Dacca (Bangladesh) e Delhi (India) il podio delle città più inquinate del mondo.
Chi spera di trovare sollievo in campagna, purtroppo, è destinato a restare deluso. Lo fa notare Legambiente, sottolineando il fatto – apparentemente paradossale – che nella prima metà di gennaio, prima del boom degli ultimi giorni, l’aria di Milano sia stata più pulita rispetto a quella che si è respirata nei centri più piccoli. Nei primi 19 giorni del 2021 le centraline del capoluogo lombardo hanno rilevato livelli medi di PM10 pari a 37 microgrammi al metro cubo, sforando per quattro giorni la soglia di sicurezza fissata a 50. È andata molto peggio a Cremona, con 45 microg/m3 e 7 giorni di superamento, Crema e Soresina, entrambe con 8 giornate oltre i limiti e una media rispettivamente di 45 e 46 microg/m3. Maglia nera per Codogno che tra il 1° e il 19 gennaio ha sfondato la soglia di sicurezza per ben 11 giorni, per una media di 54 microg/m3 di polveri monitorate dalla centralina dell’Arpa.
Com’è possibile che la campagna sia nella morsa dello smog più ancora delle grandi città? I principali indiziati sono gli allevamenti. Le filiere di agricoltura e allevamento infatti emettono in atmosfera l’ammoniaca che, combinandosi con gli ossidi d’azoto (NOx) prodotti dai motori di auto e camion, si trasforma in sale d’ammonio. Quest’ultimo altro non è che uno dei componenti principali delle polveri sottili, così dannose per la salute umana. A spiegarlo è Sandro Fuzzi, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac).
Proprio il Cnr-Isac, insieme alle università di Urbino e Vienna, ha appena pubblicato nella rivista scientifica Ambio i risultati di un’indagine sottoposta a 16mila persone in Italia, Austria, Belgio, Germania, Polonia, Svezia e Regno Unito. Senza grosse discrepanze tra un paese e l’altro, industria e traffico vengono indicati all’unanimità come le principali cause dell’inquinamento atmosferico. Il che “dimostra una marcata sottostima del contributo del settore agroalimentare”. Una “falsa percezione” che nasce da un mix di fattori: poche informazioni ufficiali diffuse dalle autorità pubbliche, notizie incontrollate che circolano senza sosta nei social media, una manifesta sfiducia nei confronti della scienza. Incide anche lo stereotipo della campagna come luogo ideale dove vivere, ancora vivo pur essendo stato sorpassato dai fatti.
“Se si pensa che la ‘bassa’ lombarda concentra il 51 per cento di tutti i suini e quasi il 25 per cento dei bovini allevati nel territorio nazionale, è palese il perché in inverno capiti spesso che i parametri di inquinamento siano peggiori nei centri agricoli che nella metropoli lombarda”, sostiene Damiano Di Simine, coordinatore scientifico di Legambiente Lombardia. L’organizzazione ambientalista punta il dito contro un provvedimento della regione Lombardia che permette agli allevatori di svuotare nei campi le cisterne di liquami. Anche se il decreto ministeriale vieta questa pratica in modo continuativo per i mesi di dicembre e gennaio, infatti, la regione ha ridotto questa finestra al periodo 15 dicembre-15 gennaio, spalmando nel corso dell’anno le altre giornate di stop. “Consentire di spandere liquami in pieno inverno equivale a vanificare le misure antismog adottate nelle città”, denuncia la presidente di Legambiente Lombardia Barbara Meggetto.
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