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Medsealitter è il progetto internazionale lanciato da Legambiente per combattere la piaga della plastica in mare che sta minacciando la sopravvivenza di interi ecosistemi. L’editoriale di Rossella Muroni.
Bottiglie, sacchetti, oggetti usa e getta di varia natura. I nostri mari sono assediati dalla presenza della plastica e delle insidiosissime microplastiche. Una piaga, che oltre a rappresentare un problema ambientale e sanitario, è una grave minaccia per la biodiversità marina, poiché molte specie animali involontariamente ingeriscono questi rifiuti o ne restano intrappolate.
I rifiuti che finiscono in mare hanno impatti su tartarughe, mammiferi e uccelli marini, filtratori, invertebrati o pesci. Gli impatti a livello di popolazione sono ancora in fase di studio ma è stato calcolato un incremento del 40 per cento del numero di specie che hanno subìto danni a causa dei rifiuti marini in quindici anni. I rifiuti in plastica sono inoltre responsabili dell’88 per cento degli eventi registrati e circa il 15 per cento delle specie vittime di aggrovigliamento e ingerimento di rifiuti marini è sulla Lista Rossa delle specie minacciate dell’Iucn, l’Unione mondiale per la conservazione della natura. Le particelle plastiche più piccole derivanti dalla loro degradazione possono addirittura entrare nella catena alimentare e arrivare fino al nostro piatto, come vettore per il trasferimento di sostanze chimiche tossiche.
Per questo, dopo anni di lavoro con Goletta verde, a caccia di rifiuti sulle spiagge per denunciare il malcostume di chi abbandona l’immondizia che poi vento e onde portano al largo, oggi Legambiente avvia una collaborazione internazionale molto concreta con università, parchi e istituti di ricerca: Medsealitter. Dieci partner che operano in Francia, Italia, Grecia e Spagna svolgeranno un monitoraggio congiunto di tre anni per studiare il fenomeno e mettere a punto gli strumenti di contrasto migliori.
Si tratta di un progetto cofinanziato dal programma europeo Interreg Med, che vede come capofila il parco nazionale delle Cinque Terre. Ogni partner sta mettendo a punto la proposta di protocollo per il settore o la specie di propria competenza: l’Università di Barcellona sta testando diversi tipi di drone con diverse tecnologie e telecamere, l’Università di Valencia sta facendo test per verificare l’attrezzatura e la modalità più adeguata per il monitoraggio da aereo; Legambiente e Ispra stanno sperimentando strumentazioni, postazioni e capacità di osservazione dagli osservatori posti su Goletta verde e sui traghetti, mentre Hellenic Centre for Marine Research, Ecole Pratique des Haute Etudes e EcoOcean stanno verificando modalità alternative per estrarre e studiare le microplastiche ingerite dai pesci.
Sulla base dei risultati saranno poi stilate le linee guida che verranno sperimentate a partire dal 2018. Perché nonostante il mar Mediterraneo sia uno dei più inquinati del mondo e molte organizzazioni nazionali siano impegnate su questo fronte, a oggi non esiste alcun protocollo condiviso per affrontare un problema che, ovunque si origini, riguarda giocoforza tutti i paesi costieri. Per questo è necessario mettere a punto un’azione che superi i confini, le competenze e le responsabilità dei singoli Paesi.
Ricordiamoci, poi, che il marine litter è anche un problema economico, con importanti ricadute per settori strategici quali pesca e turismo, due delle peculiarità dei territori che, in Italia così come all’estero, sono sul mare e incidono sul ruolo dei parchi.
Nel 2017 Legambiente ha svolto l’ultimo rilevamento sulle spiagge italiane, trovando una media di 670 rifiuti ogni 100 metri lineari di arenile, di cui l’84 per cento è di plastica. Nel mare, invece, le indagini effettuate da Goletta verde attorno alle coste hanno rilevato una media di 58 rifiuti ogni chilometro quadrato, di cui ben il 96 per cento è costituito da plastiche.
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