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La moria delle api è anche un problema finanziario che potrebbe colpire a cascata i profitti di innumerevoli industrie e, quindi, i loro investitori.
La moria delle api in Europa e in America del Nord è un enorme problema per l’agricoltura e, più in generale, per l’industria alimentare. In pochi, però, immaginano che possa avere conseguenze pesantissime anche per gli investitori, che dovrebbero iniziare a correre ai ripari. A sostenerlo è un’analisi dell’Un Pri (Principi per gli investimenti responsabili delle Nazioni Unite) che torna d’attualità all’indomani della decisione della Francia di vietare, a partire dal 2018, i pesticidi neonicotinoidi, che hanno effetti devastanti sugli insetti impollinatori.
Il dipartimento statunitense per l’Agricoltura, infatti, stima che il lavoro “gratuito” delle api contribuisca a produrre le materie prime per una produzione agricola che negli Stati Uniti vale circa 20 miliardi di dollari l’anno (18 miliardi di euro). Nel mondo, la cifra sale a 217 miliardi di dollari (197 miliardi di euro). Circa il 75 per cento delle coltivazioni alimentari infatti dipende almeno in parte dal processo di impollinazione. La moria delle api ha quindi un effetto a catena su tutta la filiera, dal campo allo scaffale del negozio: chi investe i propri capitali nelle aziende del settore food and beverage (alimenti e bevande) non dovrebbe sottovalutarlo. Per mantenere in vita le sue coltivazioni di mandorle, la California è già costretta a spostare le arnie da un lato all’altro dello stato: il costo è di circa 150 dollari (136 euro) ciascuna, da moltiplicare per 1,5 milioni di arnie.
Ma l’agricoltura i cui prodotti sono destinati ad alimentare l’uomo non è la sola a essere coinvolta: gli insetti impollinano anche le coltivazioni destinate a produrre mangimi animali (quindi a pagarne le conseguenze è anche l’allevamento) e quelle di cotone, che servono all’industria tessile. E finora non abbiamo ancora parlato dei colossi dell’agrochimica: Syngenta ha dichiarato che un divieto dei pesticidi neonicotinoidi comporterebbe un calo delle vendite dei suoi prodotti pari a 75 milioni di dollari (68 milioni di euro), circa il 6,5 per cento del totale su scala globale.
Gli investitori, quindi, hanno diritto di sapere se le aziende in cui stanno investendo il loro denaro sono più o meno vulnerabili alle conseguenze economiche della moria delle api. Questo, però, ancora non accade. Negli ultimi mesi si moltiplicano le iniziative per la salvaguardia delle api, ma le aziende sembrano ancora riluttanti a considerarle come un rischio da calcolare in termini monetari.
Alcuni azionisti, però, stanno iniziando ad alzare la voce. È il caso di quelli di PepsiCo che hanno rivolto all’azienda due richieste ben precise: stimare il rischio finanziario della moria delle api lungo tutta la filiera e, dall’altro lato, mettere nero su bianco la propria strategia per ridurre l’impiego di pesticidi dannosi. Se altri investitori responsabili seguiranno quest’esempio, suggerisce l’Un Pri, le società e chi scrive le regole non potranno che essere stimolati a fare meglio.
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