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Un raid aereo della coalizione internazionale ha colpito numerosi edifici residenziali a Mosul, in Iraq. Incerto, ma altissimo, il numero delle vittime.
Decine, forse centinaia di persone sono state uccise a Mosul da un bombardamento aereo operato dalle forze della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Sulle cifre esatte della strage non c’è accordo tra le fonti, ma la stampa internazionale cita testimoni che parlano di 240 corpi estratti dalle macerie di numerosi edifici colpiti dal raid. Non è stata tuttavia effettuata alcuna verifica indipendente, per cui il bilancio per ora non può essere accertato.
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Ciò che è chiaro è che il bombardamento è stato effettuato il 19 marzo scorso nel quartiere di Al Jadidah, da tempo sotto il controllo degli jihadisti dell’organizzazione Stato Islamico. Un abitante di Mosul ha parlato all’Associated Press di “almeno 137 morti”, affermando che “tutto il quartiere era in fuga per via della pioggia di missili”. La violenza dell’azione militare sarebbe stata confermata da un generale iracheno, coperto da anonimato, che ha riferito di 27 immobili residenziali danneggiati, di cui tre completamente distrutti. Ufficialmente, però, l’esercito di Bagdad ha negato ogni responsabilità.
Iraqi military denies that an airstrike caused massive civilian casualties in Mosul https://t.co/vu2iLO9Kdd pic.twitter.com/wH9OWAugWv
— Los Angeles Times (@latimes) 27 marzo 2017
La coalizione internazionale ha riconosciuto nella giornata di sabato 25 marzo di aver ordinato un’operazione aerea, senza precisare quale sia stato l’obiettivo. Un portavoce del comando americano ha poi puntato il dito contro l’Isis “che utilizza i civili come scudi umani nei quartieri assediati”.
Lise Grande, coordinatrice delle operazioni umanitarie delle Nazioni Unite in Iraq ha commentato l’accaduto ricordando che “il diritto internazionale su questo punto è chiaro: le parti in conflitto sono obbligate a fare tutto ciò che è possibile per proteggere i civili. Ciò implica che non essi non possono essere utilizzati come scudi umani, ma anche che non si deve usare la forza militare in modo indiscriminato”. Il vice presidente dell’Iraq, Osama Al-Nujaifi, ha annunciato che la questione verrà esaminata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (su richiesta della Russia, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa moscovita Sputnik).
Ciò che è chiaro è che, come in tutte le guerre, la battaglia di Mosul non sta risparmiando vite innocenti. L’Osservatorio iracheno per i Diritti dell’uomo ha parlato di 700 civili uccisi dal 19 febbraio scorso, ovvero da quando è stata lanciata l’offensiva per la conquista della porzione occidentale di Mosul, nella quale si è arroccata la difesa islamista.
Attualmente, parecchie centinaia di migliaia persone si trovano ancora intrappolate nei quartieri controllati dall’Isis. L’ong Save the children ha parlato di 350mila bambini per i quali la fuga è ormai impossibile, tra il rischio di esecuzioni sommarie e gli spari dei cecchini. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha sottolineato inoltre che 400mila persone si trovano in particolare nella città vecchia, ovvero in un fitto reticolato di stradine diventate la roccaforte dei combattenti islamici. Il che lascia immaginare una battaglia particolarmente lunga e difficile per la coalizione internazionale.
#Iraq #MosulOffensive – @ArisMessinis – pic.twitter.com/BGSExu5Xxi
— Camille Stein (@CamilleStein) 15 marzo 2017
Ciò nonostante, la sorte degli abitanti di Mosul sembra interessare meno rispetto ad altre vicende. In un’intervista rilasciata alla radio francese Rfi, il generale Jean-Vincent Brisset, dirigente dell’Istituto per le Relazioni internazionali e strategiche, ha ammesso che “la differenza di trattamento delle informazioni tra Mosul e Aleppo è evidente. È stata sollevata grande indignazione per le operazioni dei russi”, mentre ora l’attenzione sembra meno importante “benché in Iraq si stiano facendo sostanzialmente le stesse cose”.
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