
Le aree centrali e settentrionali della Grande barriera corallina, al largo dell’Australia, sono in salute, ma è importante non abbassare la guardia.
È l’allarmante dato emerso da uno studio condotto dal Wwf e dalla Società zoologica di Londra. Diventa più urgente che mai invertire questo fenomeno che ci riguarda direttamente.
I pesci e la vita acquatica in generale non godono di grande considerazione. Forse perché ciò che accade sotto il pelo dell’acqua ci sembra lontano e ovattato, o forse perché i pesci muoiono in silenzio.
Quali che siano le cause di questa indifferenza i numeri ci riportano, freddi e inappellabili, alla realtà: negli ultimi quarantacinque anni la quantità di fauna ittica nei nostri oceani si è dimezzata. È quanto emerso dal più approfondito studio sulla vita marina mai realizzato, condotto dal Wwf e dalla Società zoologica di Londra.
La ricerca ha preso in esame oltre mille specie ed analizzato cinquemila popolazioni di creature marine, tra cui pesci, tartarughe e mammiferi marini. La conclusione è sconcertante, rispetto al 1970 la fauna marina globale si è ridotta della metà. In particolare, secondo i ricercatori, le popolazioni di tonno e sgombro hanno subito un declino catastrofico, perdendo quasi tre quarti delle rispettive popolazioni.
Il drastico calo della fauna ittica non è però una sorpresa, già nel 1950 è stato documentato il crollo delle aringhe nel Regno Unito, con conseguente contraccolpo nella pesca. Secondo il Wwf ci troviamo oggi ad affrontare la perdita di specie fondamentali per la sicurezza alimentare umana, urge più che mai adottare misure drastiche per fermare la pesca eccessiva e le altre minacce alla vita marina.
La specie simbolo dell’olocausto oceanico è il tonno rosso (Thunnus thynnus), specie ormai sull’orlo dell’estinzione nel Pacifico, ma anche altre specie comunemente presenti nei menù dei ristoranti sono vicine al collasso, come il tonno pinna gialla (Thunnus albacares) e l’alalunga (Thunnus alalunga).
La pesca eccessiva non è l’unico colpevole dietro il dimezzamento delle specie marine dal 1970. L’inquinamento, ad esempio l’immensa quantità di detriti di plastica che si accumula nel sistema digestivo delle creature marine, la perdita di habitat fondamentali, come le foreste costiere di mangrovie, e i cambiamenti climatici stanno contribuendo a rendere i mari della Terra degli sterili deserti.
Al destino degli oceani è legato quello della nostra specie, se una volta si pensava che le nostre azioni non avessero ricadute su simili vastità oggi sappiamo che non è così. Secondo i ricercatori non è però troppo tardi per invertire la tendenza.
La maggior parte delle specie è fortemente diminuita ma non scomparsa, con rigide misure di protezione si potrebbe ripristinarne le popolazioni. L’istituzione di aree marine protette è un passo decisivo da effettuare, eppure non c’è ancora la giusta consapevolezza per conferire ai nostri mari la protezione di cui avrebbero bisogno.
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