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La fuga dell’orsa Daniza e dei suoi cuccioli è stata interrotta da una dose massiccia di anestetico che ha ucciso l’animale. La vicenda ricorda la storia dell’orso Jj1 e mette in evidenza i limiti del nostro Paese nella tutela della fauna.
Da oggi i boschi del Trentino sono un po’ più sicuri, sicuramente sono molto più vuoti e tristi. L’orsa Daniza è morta e con lei l’illusione che l’uomo potesse ricucire il rapporto con la natura. Quando boschi, montagne e oceani saranno stati privati per sempre di creature “pericolose” come orsi, squali e altri grandi predatori forse gli uomini si sentiranno al sicuro ma si accorgeranno di essere rimasti soli.
Quella dei grandi carnivori è una paura atavica, che ci accompagna fin dai primi vagiti della nostra specie. Tuttavia un tempo questi animali oltre che temuti erano rispettati, il culto degli orsi è nato nelle grotte preistoriche d’Europa. Presso molte culture di tipo sciamanico l’orso è considerato un animale superiore, un mediatore tra gli uomini e gli dei, adorato per le sue qualità terrificanti, ma anche per le sue doti di generosità e di coraggio, per la sua capacità di rinascere ogni primavera dopo il letargo ed è considerato simbolo selvaggio di maternità.
Ironia della sorte Daniza è stata uccisa proprio per questo, per aver attaccato solo per proteggere i propri cuccioli. Nonostante si tratti di un comportamento perfettamente naturale e che l’intruso era il cercatore di funghi (che ha anche violato le basilari e note norme da adottare in caso di incontro con un plantigrado), mamma orsa è stata trattata alla stregua di un criminale, da giustiziare pubblicamente in nome dell’ordine e della sicurezza.
Quasi un mese è durata la fuga dell’animale e dei suoi cuccioli, iniziata lo scorso 15 agosto, dopo lo scontro con il cercatore di funghi. Oltre venti giorni di fughe nei boschi, muovendosi di notte quando gli umani sono inermi, attraversando corsi d’acqua, evitando le trappole e frapponendo più distanza possibile tra sé e i suoi cuccioli e i loro inseguitori. Era stata brava Daniza a non farsi trovare, fino alla notte del 10 settembre, quando i responsabili che monitoravano i suoi spostamenti hanno colpito con dardi muniti di anestetico lei e uno dei suoi cuccioli. L’orsa non è sopravvissuta alla narcotizzazione, le cause sono ancora da accertare ma il suo cuore non ha retto.
La storia di Daniza riporta alla mente quella dell’orso Bruno, protagonista nel 2006 di una vicenda analoga. Bruno, il cui vero nome era Jj1, all’età di due anni seguendo la propria natura libera e girovaga ha abbandonato il natio parco dell’Adamello-Brenta in Trentino per dirigersi in Germania. In terra tedesca, colpevole di aver saccheggiato qualche arnia e pollaio è stato condannato a morte. Le proteste delle autorità italiane, “proprietarie” dell’orso che faceva parte di un programma di ripopolamento di plantigradi finanziato dall’Unione europea, sono state scarse e poco incisive.
La mattina del 26 giugno, dopo un inseguimento durato settimane, Jj1 viene ucciso in Baviera, da due colpi di fucile mentre riposava accanto ad un lago. Un mese dopo l’uccisione del giovane animale il Trentino decide di catturare e segregare in un recinto la madre, Jurka, responsabile della cattiva educazione della sua prole. Anche in questo caso parliamo di animali protetti, reintrodotti in un habitat dal quale erano stati estirpati spendendo milioni di euro per poi essere assassinati o imprigionati se il loro carattere viene giudicato inopportuno. Ora i boschi del Trentino sono più sicuri, ma anche più vuoti e più tristi, un altro orso se n’è andato.
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