L’uso dei sottoprodotti dell’agricoltura nei mangimi animali può permettere un risparmio ecologico e una via diversa per l’ecosostenibilità ambientale.
Ocean Cleanup: riparte la missione contro la plastica
Dopo essere rientrata in porto per un guasto lo scorso gennaio, la barriera galleggiante è ripartita alla volta della grande isola di plastica.
Ocean Cleanup non si arrende alle prime difficoltà e ci riprova: il macchinario chiamato Ocean Array Cleanup, una barriera ideata per realizzare la più grande opera di pulizia oceanica mai effettuata, è tornata in mare, diretta verso l’immensa isola di plastica che galleggia nell’oceano Pacifico. Lo ha annunciato su Twitter Boyan Slat, il giovane ideatore del progetto.
After only four months of design, procurement, and assembly, the crew is now on their way to the Great Pacific Garbage Patch with the upgraded System 001/B. Time to put it to the test. pic.twitter.com/wbUUvrihbh
— The Ocean Cleanup (@TheOceanCleanup) 21 giugno 2019
Provaci ancora, Wilson
Alla fine del 2018 il macchinario, chiamato Wilson e lungo circa 600 metri, aveva subito un guasto provocato dalla costante esposizione alle onde e al vento, in seguito al quale aveva perso un pezzo lungo circa venti metri, ed era dovuto rientrare in porto. Dopo circa quattro mesi di lavoro Wilson è stato riparato ed è nuovamente diretto verso il Pacific Trash Vortex, tra la California e le Hawaii. “Speriamo che la natura non abbia troppe sorprese in serbo per noi questa volta – ha twittato Boyan Slat. – Ad ogni modo, stiamo imparando molto da questa campagna.”
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Wilson 2.0
Gli ingegneri di Ocean Cleanup, oltre ad aggiustare il danno, hanno cercato di migliorare la barriera galleggiante affinché il problema non si verifichi di nuovo. Alla versione aggiornata dell’Ocean Array Cleanup sono state applicate due migliorie. Ora è dotata di una serie di grandi boe gonfiabili, che dovrebbero rallentarne la deriva e aiutarla a mantenere una velocità inferiore rispetto alla plastica. Il team ha inoltre cercato di aumentare la durata del dispositivo realizzando connessioni più semplici tra i vari componenti e rimuovendo alcune strutture di stabilizzazione ampie e non necessarie. È stato infine adottato un approccio più modulare alla sua costruzione, per consentire ai tecnici di effettuare riparazioni e apportare modifiche senza la necessità di portare a terra l’intera barriera.
Una barriera sostenibile
Gli strumenti di cui è dotato Wilson sono alimentati ad energia solare e, sfruttando le correnti marine, la macchina non necessita di energia per raccogliere la plastica. In occasione della sua prima esperienza sul campo i biologi marini che seguono il progetto a bordo della nave di supporto hanno affermato di non aver rilevato alcun significativo impatto ambientale.
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