Olimpiadi invernali

L’esistenza delle Olimpiadi invernali potrebbe cessare in meno di sessant’anni

Se non ridurremo le emissioni responsabili del riscaldamento globale, non resteranno più molte città in grado di ospitare le Olimpiadi invernali.

  • Su ventuno delle località che hanno finora ospitato i Giochi olimpici invernali, si rischia che solo una possa nuovamente farlo nel 2080.
  • Questo numero salirebbe a otto se riuscissimo a rispettare quanto stabilito dall’Accordo di Parigi sul clima, limitando l’aumento delle temperature.

Sono ventuno le città che, a partire dal 1924, hanno ospitato le Olimpiadi invernali, fra cui le italiane Cortina d’Ampezzo e Torino. Se non non riusciremo a ridurre le emissioni responsabili del riscaldamento globale, soltanto quattro risulteranno ancora idonee nel 2050 (Lake Placid, Lillehammer, Oslo e Sapporo). Di queste, ne resterà soltanto una nel 2080 (Sapporo). È la triste verità resa nota da un gruppo di scienziati dell’università di Waterloo, in Canada, che ha pubblicato uno studio sulla rivista Current issues in tourism.

Olimpiadi invernali
Sapporo, Giappone © Mike Kilcoyne/Unsplash

Il futuro dei Giochi olimpici invernali è nelle nostre mani

Se invece manterremo l’aumento della temperatura ben al di sotto dei due gradi centigradi, come stabilito dall’Accordo di Parigi sul clima, saranno nove le località che potranno di nuovo ospitare i Giochi invernali nel 2050, e otto quelle che lo potranno fare nel 2080.

Olimpiadi invernali
Le nevicate cominciano a scarseggiare in molte città, fra cui Pechino © Marcelo Hernandez/Getty Images

Se fa troppo caldo, viene a mancare la sicurezza

Per giungere a questo risultato, i ricercatori hanno intervistato 339 fra i migliori atleti e allenatori del mondo, e hanno analizzato quattro parametri che influiscono sulla sicurezza di un’Olimpiade invernale: temperature troppo alte o troppo basse, pioggia, neve bagnata e mancanza di neve.

Rispettare l’Accordo di Parigi è cruciale per salvare gli sport invernali.

Daniel Scott, ricercatore presso l’Università del Surrey

Negli ultimi cinquant’anni, le condizioni sono peggiorate in tutte le location esaminate, un trend che sembra destinato a continuare. Lo si è visto alle competizioni della Coppa del mondo di sci alpino tenutesi nel mese di gennaio a Zagabria, in Croazia: il caldo e la scarsità di neve hanno costretto gli organizzatori a cancellare lo slalom maschile dopo le discese di diciannove atleti, uno dei quali – il francese Victor Muffat-Jeandet – si è infortunato proprio a causa delle pessime condizioni della pista.

Le temperature ai Giochi sono aumentate costantemente – da una media di 0,4°C negli anni ’20-’50 a 3,1°C negli anni ’60-’90, fino a 6,3°C nel XXI secolo –, portando le città ospitanti ad adottare misure sempre più drastiche per garantire lo svolgimento delle gare. Come Pechino che, quest’anno, ha dovuto fare affidamento unicamente sulla neve artificiale. Una misura che in futuro potrebbe non essere più sufficiente.

Non solo Olimpiadi

“Il tempo e la qualità della neve sono cambiati parecchio dall’inizio della mia carriera. Le squadre devono avere piani molto flessibili se vogliono raggiungere i luoghi migliori dove allenarsi. Questi sport rischiano di diventare ancora più elitari e di necessitare di risorse sempre maggiori”, ha dichiarato al quotidiano britannico Guardian la snowboarder Lesley McKenna.

L’impatto che i cambiamenti climatici avranno sulle località montane non preoccupa soltanto gli atleti professionisti, ma anche i semplici amatori, così come i gestori di rifugi e altre attività economiche legate alla montagna. Dovrebbe preoccupare tutti noi, perché in gioco purtroppo non ci sono soltanto medaglie o ciaspolate, ma il futuro della nostra specie.

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