Amazzonia. L’impegno della Chiesa per una conversione anche ecologica

Tra i risultati del Sinodo per la regione panamazzonica, l’impegno della Chiesa a una conversione anche ecologica, che punti sul pieno coinvolgimento delle popolazioni indigene, sulla fine dello sfruttamento e del disboscamento. Ed entra la definizione di “peccato ecologico”.

Nel proprio progetto di evangelizzazione dell’Amazzonia, la Chiesa vuole non solo ascoltare, ma anche imparare dai popoli indigeni il rispetto e la salvaguardia della foresta pluviale, minacciata da disboscamento, incendi, mutamenti climatici e attività estrattive, e sarà in prima linea con progetti di sensibilizzazione a uno sviluppo sostenibile, tanto per la natura quanto per chi la vive da sempre. È la sintesi estrema del lavoro svolto lungo quasi tutto il mese di ottobre dal Sinodo dei vescovi per la regione pan amazzonica, dedicato proprio alla ricerca di nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale.

Un sinodo voluto da Papa Francesco in persona, che fa seguito ai contenuti ecologici della sua enciclica Laudato si’, e che secondo il Pontefice “ci ha dato modo di ascoltare la voce dei poveri e di riflettere sulla precarietà delle loro vite, minacciate da modelli di sviluppo predatori. Senza dubbio noi abbiamo dimostrato che è possibile guardare la realtà in un modo diverso”.

Una vera conversione ecologica

Il documento finale, redatto all’unanimità da 181 vescovi provenienti da tutti 9 paesi amazzonici, ruota intorno alla parola chiave conversione, declinata in cinque diverse accezioni: alcune più squisitamente religiose come quella pastorale, quella sinodale e quella integrale, un’altra culturale e infine, la conversione ecologica.

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“Senza conversione, non ci sono nuovi percorsi. Con l’Amazzonia che brucia molti si sono resi conto che le cose devono cambiare, siamo riusciti a comprendere il problema, a riconoscere che c’è bisogno non solo di un cambiamento ma di una vera conversione, che è una cosa ancora più personale”, ha spiegato nella conferenza stampa finale del sinodo il cardinale Michael Czerny, sottosegretario della sezione migranti e rifugiati del sicastero per il servizio dello sviluppo Umano Integrale della Città del Vaticano. “Ci sono soluzioni pratiche e ragionevoli a disposizione: il problema è che comportano una conversione, che gli alberi restino lì e che l’acqua continui a scorrere”.

I vescovi ammettono che “il nostro pianeta è un dono di Dio, ma sappiamo anche che viviamo l’urgenza di agire contro una crisi socio-ambientale senza precedenti. Riconosciamo le ferite causate dall’essere umano nel nostro territorio, vogliamo imparare dai nostri fratelli e sorelle dei popoli indigeni, in un dialogo di conoscenza, la sfida di dare nuove risposte alla ricerca di modelli di sviluppo equie solidale. Vogliamo prenderci cura della nostra “casa comune” in Amazzonia”.

Diritti umani e attività estrattive

Il capitolo dedicato a questa conversione ecologica prende le basi dal principio dell’enciclica papale secondo l’ecologia integrale ha il suo fondamento che tutto è intimamente connesso e dunque anche ecologia e giustizia sociale sono profondamente legate. Da qui partono una serie di affermazioni e richieste molto puntuali: è urgente affrontare lo sfruttamento illimitato della “casa comune” e dei suoi abitanti.

Costruzione di una diga nell'Amazzonia brasiliana
L’estrazione illegale di oro cresce incontrastata in Amazzonia e le attività fortemente inquinanti dei minatori avvelenano foreste e fiumi con mercurio e altre sostanze inquinanti © Mario Tama/Getty Images

Una delle principali cause di distruzione in Amazzonia è l’estrattivismo predatore che risponde alla logica dell’avidità, cui si accompagna lo spargimento di sangue innocente e la criminalizzazione dei difensori dell’Amazzonia: è infatti “scandaloso”, secondo la Chiesa, che i leader e persino le comunità siano criminalizzati solo per aver rivendicato i propri diritti, proprio mentre essi subiscono violazioni dei propri diritti umani. Monsignor David Martínez de Aguirre Guinea, vescovo di Izirzada, vicario apostolico di Puerto Maldonado in Perú e segretario speciale del Sinodo ha lanciato il grido d’allarme in conferenza stampa: “In Amazzonia l’estrazione dell’oro è più vicina della parola di Dio. Abbiamo ascoltati tutti i vescovi, gli uditori che hanno partecipato, i popoli indigeni, e il grido d’allarme per l’asfissia che si vive in Amazzonia è stato presente in ogni discorso”.

Per questo, si legge nel documento “denunciamo la violazione dei diritti umani e la distruzione estrattiva; assumiamo e sosteniamo le campagne di disinvestimento delle compagnie estrattive legate ai danni socio-ecologici dell’Amazzonia; chiediamo una transizione energetica radicale; proponiamo di sviluppare programmi di formazione sulla cura della casa comune progettati da operatori pastorali e fedeli. Al sinodo hanno partecipato anche folte rappresentanze dei popoli indigeni i quali, spiega il documento finale, “sono i protagonisti della cura, della protezione e della difesa dei diritti dei popoli e dei diritti della natura. In questo scenario, il ruolo della Chiesa è quello di un alleato. Essi hanno chiaramente espresso che vogliono che la Chiesa li accompagni, che cammini con loro, e non imponga un modo particolare di essere, un modo specifico di sviluppo che così poco ha a che fare con le loro culture, tradizioni e spiritualità”.

Il peccato ecologico come azione contro Dio

Il ruolo della Chiesa è dunque quello di “rafforzare questa capacità di sostegno e partecipazione”, riconoscendo “la saggezza dei popoli amazzonici sulla biodiversità” e impegnandosi a far sì che queste conoscenze “siano condivise in un modello di sviluppo sostenibile e inclusivo”. Nell’ultima parte del documento dedicata alla conversione ecologica, la Chiesa agisce da attore politico, lanciando un appello alla comunità internazionale in particolare sulla necessità di ridurre drasticamente l’emissione di anidride carbonica e altri gas correlati al cambiamento climatico e di tutelare l’accesso all’acqua potabile come diritto umano di base, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e quindi è una condizione per l’esercizio di altri diritti umani”, e impegnandosi per la creazione di un osservatorio sull’ecologia e il rispetto dei diritti dei popoli indigeni, che comprenda le istituzioni religiose locali ma anche associazioni private e che “non sarà la soluzione – spiega il cardinal Czerny – ma un contributo importante, perché il problema ambientale è come quello delle migrazioni, va affrontato globalmente”.

Ma c’è anche un passaggio importante proprio dal punto di vista strettamente religioso, l’introduzione di una vera e propria nuova fattispecie di peccato: “Proponiamo di definire il peccato ecologico come un’azione o omissione contro Dio, contro il vicino, la comunità e l’ambiente. È un peccato contro le generazioni future e manifestazione di atti e abitudini di inquinamento e distruzione della selettività dell’ambiente, trasgressioni contro i principi di interdipendenza e la rottura delle reti di solidarietà tra creature”. Una innovazione forte, ma necessaria e soprattutto dovuta, spiega monsignor Aguirre Guinea: “La cura dell’ecologia è entrata a far parte della nostra missione con l’enciclica Laudato si’, perché aggredire la terra è un peccato. In ogni angolo dell’Amazzonia i nostri missionari trovano situazioni gravissime per colpa delle estrazioni di oro”. È per questo che serve una conversione: ecologica, energetica, nel rispetto dei diritti umani.

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