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Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha tenuto il suo ultimo discorso, lo speech di addio in cui ha promesso di continuare il lavoro da leader di speranza.
“Insieme scriveremo il prossimo grande capitolo della storia americana con tre parole che risuoneranno da costa a costa, dal mare al mare scintillante: sì, può fare”. Questo diceva ai suoi sostenitori, per dar loro speranza, il futuro presidente degli Stati Uniti Barack Obama nel 2008, quando perse le primarie nello stato del New Hampshire contro Hillary Clinton. Più di otto anni dopo, quelle tre parole risuonano ancora e fanno vibrare menti e cuori di milioni di persone anche fuori dai confini americani. Anche ora che vengono pronunciate in occasione dell’ultimo discorso (farewell address) di Barack Obama da presidente tenuto il 10 gennaio nella città che lo ha visto nascere come politico e festeggiare le sue vittorie più importanti. Il palco è sempre quello, il McCormick Place di Chicago. Davanti a lui circa 20mila persone, compresi la sua famiglia, la famiglia del vicepresidente Joe Biden e tutti coloro che hanno contribuito al successo delle due campagne elettorali e alla “normale amministrazione” alla Casa Bianca.
“Se otto anni fa vi avessi detto che l’America avrebbe invertito una grande recessione, rilanciato la sua industria dell’auto e dato il via al periodo più lungo di nuovi posti di lavoro creati della nostra storia. Se vi avessi detto che avremmo aperto un nuovo capitolo con il popolo cubano, che avremmo bloccato il programma nucleare iraniano senza sparare un colpo, e che avremmo eliminato il regista dell’11 settembre. Se vi avessi detto che avremmo ottenuto il matrimonio per tutti e il diritto alle cure sanitarie per altri 20 milioni di nostri concittadini, avreste potuto pensare che avevamo messo l’asticella troppo in alto”. Obama non dimentica, non lascia nulla al caso e usa ogni parola al momento giusto, nel modo giusto. Non è un caso, infatti, se l’espressione dell’asticella (“you might have said our sights were set a little too high”) è in realtà una citazione di un suo discorso pronunciato nel momento in cui era chiaro che avrebbe potuto competere senza timori per diventare il candidato democratico alla presidenza, dopo aver sconfitto Hillary Clinton alle primarie in Iowa, il 3 gennaio 2008.
“Ma questo è quello che abbiamo fatto. Questo è quello che voi avete fatto. Voi siete stati il cambiamento. Avete risposto alle speranze delle persone e, grazie a voi, oggi l’America è migliore da quasi ogni punto di vista e più forte di quando abbiamo cominciato”, continua Obama in uno dei passaggi più sentiti del suo discorso.
Un discorso che spiega anche come la sua presidenza sia stata dettata dal buon senso come base fondamentale della democrazia. Buon senso che deve portare il suo successore così come ogni presidente a comportarsi e agire partendo dai fatti: “Senza la volontà di accettare l’esistenza di nuove informazioni e ammettere che a volte il tuo avversario ha argomenti validi, e che la scienza e la ragione sono importanti, continueremo a parlarci l’uno sull’altro, rendendo impossibile trovare un terreno comune e fare compromessi”.
E la questione legata al riscaldamento globale calza a pennello. “Prendiamo ad esempio la sfida ai cambiamenti climatici. In soli otto anni abbiamo dimezzato la nostra dipendenza al petrolio che viene dall’estero, abbiamo raddoppiato la nostra energia rinnovabile, abbiamo guidato il mondo verso un accordo che promette di salvare questo pianeta. Ma senza un’azione più coraggiosa, i nostri figli non avranno tempo di discutere sull’esistenza dei cambiamenti climatici. Saranno troppo occupati a fronteggiare le loro conseguenze. Più disastri ambientali, più incertezza economica, ondate di rifugiati climatici alla ricerca di una terra promessa. Oggi possiamo discutere sul modo migliore per risolvere il problema, ma negarlo semplicemente non solo è un tradimento verso le generazioni future, ma è un tradimento verso […] questo paese”.
Questo passaggio è un chiaro messaggio al presidente eletto Donald Trump che ha negato l’esistenza dei cambiamenti climatici e che si insedierà alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio. Ma mai – qui come in altri passaggi – Obama ha nominato Trump o altri suoi potenziali “nemici”. Al contrario, Obama ha speso gran parte dei 50 minuti del suo discorso a ringraziare chi lo ha sostenuto, aiutato, compreso negli otto anni che lo hanno visto al vertice di uno degli stati più potenti al mondo. Ha ringraziato sua moglie Michelle e le figlie Malia e Sasha. E qui la commozione ha iniziato a farsi largo.
“Michelle LaVaughn Robinson, una ragazza dal South Side [un’area di Chicago, ndr]. Negli ultimi 25 anni non sei stata solo mia moglie e la madre dei miei figli, sei stata la mia migliore amica. Hai assunto un ruolo che non avevi chiesto di assumere e lo hai fatto tuo con grazia, grinta, stile e buon umore. Hai trasformato la Casa Bianca in un luogo aperto a tutti. E oggi una nuova generazione ha alzato l’asticella degli obiettivi anche perché ha te come modello. Mi hai reso orgoglioso. Hai reso orgoglioso tutto il paese”.
Poi il momento del fazzoletto arriva, inevitabile.
Ha ringraziato il vicepresidente Biden, definito la prima e la migliore scelta dal momento in cui la corsa verso la Casa Bianca è cominciata. “Ho ho guadagnato un fratello”, ha anche ammesso Obama che ha promesso di non farsi da parte, ma di continuare a lottare per ciò in cui crede, per i diritti civili, ha promesso di non abbandonare il suo popolo e di volerlo continuare ad aiutare da leader politico, ovvero nel modo che gli riesce meglio. Il suo compito, il più importante, è continuare a infondere e diffondere speranza. Per questo ha chiuso il suo ultimo discorso chiedendo agli americani di “continuare a credere” nella loro abilità di cambiare le cose. Perché se se ci sono riusciti negli ultimi otto anni, allora “si può fare” (yes we can) anche in futuro. Si può continuare a fare.
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