La proposta di togliere la scadenza all’autorizzazione delle sostanze attive dei pesticidi è contenuta in un pacchetto semplificazione della Commissione. Per gli ambientalisti in questo modo il profitto dell’industria prevale sulla salute.
Secondo la Corte dei conti Ue, il pesce in commercio in Europa è ancora troppo spesso frutto di pesca illegale e servono controlli e sanzioni più efficaci.
I prodotti della pesca illegale continuano a finire nei piatti dei cittadini europei: i provvedimenti assunti dall’Unione europea e dagli Stati membri per tenere sotto controllo questa pratica, infatti, non si sono rivelati sufficientemente efficaci, soprattutto perché ogni Paese effettua le verifiche e applica le sanzioni in modo diverso. Questa è la conclusione a cui è giunta la Corte dei conti europea in una relazione speciale sulla pesca illegale che evidenzia la necessità di un sforzo maggiore da parte degli Stati nel contrasto al fenomeno.
L’Unione europea è uno dei principali attori globali nel settore della pesca: sono 79mila le navi che compongono la flotta peschereccia della Ue, una delle più grandi al mondo e responsabile del 6 per cento delle catture ittiche mondiali, mentre le importazioni di prodotti ittici in Eiropa rappresentano il 34 per cento del commercio totale mondiale. La pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata costituisce una delle più grandi minacce per gli ecosistemi marini e compromette gli sforzi per gestire le risorse ittiche in modo sostenibile. In linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, quindi, l’Ue si era impegnata a porre fine alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, entro il 2020, ma l’obiettivo non è ancora stato raggiunto.
Dal 2015 al 2019 gli Stati membri Ue hanno condotto circa 350mila ispezioni contro la pesca illegale, segnalando circa 70mila infrazioni, la maggior parte delle quali rilevate dall’Italia (46 per cento). La dichiarazione errata delle catture costituisce l’infrazione più comune commessa dalla flotta europea, a cui fa seguito la pesca in zone di divieto e l’utilizzo di attrezzi illegali. Stando al parere della Corte, risulta poi problematico imporre il rispetto dell’obbligo di sbarco, mentre i rigetti illegali in mare continuano.
Riguardo alle sanzioni, la Corte ha rilevato che il sistema non si equivale in tutto il territorio europeo. L’ammenda media inflitta per un’infrazione analoga variava da circa 200 euro (Cipro, Lituana ed Estonia) a oltre 7mila euro (Spagna). In alcuni Stati membri, le sanzioni non fungono da deterrente contro la pesca illegale, in quanto non sono commisurate ai vantaggi economici ricavati dalle infrazioni. Sanzioni accessorie (come la confisca degli attrezzi o la sospensione della licenza di pesca), sono applicate solo dall’Italia e pochi altri Stati membri (Belgio, Danimarca, Francia e Paesi Bassi).
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