
Le comunità energetiche rinnovabili sono indispensabili per la transizione ecologica e hanno vantaggi ambientali, economici e sociali. Ecco come funzionano.
Rinnovabili, efficienza, edilizia, trasporti. Secondo le ong il piano della Commissione europea per l’energia pulita è ancora “troppo sporco”.
Il 30 novembre scorso, a due settimane dalla conclusione della Cop 22 di Marrakech, la Commissione europea ha presentato una serie di proposte legislative in tema di energia. Secondo l’organismo esecutivo dell’Ue, il documento (battezzato “Pacchetto d’inverno”) rappresenterà la base delle politiche comunitarie per il periodo 2020-2030 per quanto riguarda fonti rinnovabili, efficienza energetica, industria, mercati, edilizia, trasporti. Il piano, ha spiegato Bruxelles, «manterrà l’Unione europea competitiva in questa fase di transizione verso l’energia pulita”. Il giudizio delle associazioni ambientaliste europee, però, è unanime. E fortemente negativo: le ipotesi avanzate non consentiranno all’Europa di raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi.
Alla Commissione era stato chiesto infatti di tradurre in proposte concrete il “Quadro per il clima e l’energia 2030” che era stato adottato dal Consiglio dei ministri dell’Ue il 23 ottobre 2014. Esso chiedeva di raggiungere una riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra pari al 40 per cento, rispetto ai livelli del 1990, di incrementare al 27 per cento la porzione di energia prodotta da fonti rinnovabili e di migliorare l’efficienza energetica di almeno il 27 percento.
Ebbene, due anni dopo, le ambizioni sono rimaste sostanzialmente le stesse: l’unico cambiamento riguarda l’ultimo punto, che aumenta di tre punti passando al 30 per cento. Come se di mezzo non ci fosse stata la Cop 21 di Parigi, nel corso della quale la comunità internazionale si è impegnata a limitare a due gradi centigradi la crescita della temperatura media globale, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. Il che comporta sforzi molto più ampi rispetto a quelli immaginati in passato.
La reazione delle ong, di conseguenza, è stata particolarmente dura. Per rimanere in una traiettoria compatibile con l’Accordo di Parigi, occorrerebbe infatti dimezzare le emissioni europee entro il 2030, e non accontentarsi di un -40 per cento. Le energie rinnovabili, inoltre, dovrebbero crescere a velocità ben più sostenuta, raggiungendo almeno il 45 per cento (contro il 27 proposto dalla Commissione). “Così – ha spiegato Tara Connolly, consulente politica di Greenpeace Ue – rischiamo di aver vanificare gli sforzi e di prolungare la dipendenza dal carbone. Questo pacchetto di misure non fa altro che tirare il freno. Distribuisce soldi alle centrali a carbone e dà alle compagnie energetiche più potere di controllo”.
L’associazione ambientalista punta infatti il dito contro i “sussidi conosciuti come ‘capacity payments’, di cui beneficeranno carbone, gas e e nucleare, con il pretesto di tenere le centrali pronte per essere accese. Al 2020 circa il 95 per cento delle centrali a carbone avrebbe i requisiti per ricevere questo sussidio, secondo la proposta della Commissione, che include un tetto massimo per la CO2 solo per le centrali a carbone di nuova costruzione”.
Anche Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, ha confermato che per soddisfare gli impegni assunti alla Cop 21 di Parigi “serve un cambio di rotta. Per le rinnovabili il target fissato dalla Commissione rappresenta un obiettivo fortemente inadeguato”. Ancor più duro il commento del Wwf, secondo il quale “il pacchetto energia pulita della Commissione è ancora troppo sporco. Si lasciano le porte aperte ai sussidi per i prossimi dieci anni, si mina il sostegno alle energie rinnovabili, si perdono alcune grandi opportunità in materia di efficienza energetica”.
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