Il piano italiano per le emergenze radiologiche e nucleari è stato aggiornato

Dopo 12 anni il piano nazionale sull’emergenza nucleare è stato rivisto. Chernobyl e Zaporizhzhia riportano l’attenzione sul rischio radiazioni.

  • Il piano italiano contro le emergenze radiologiche è stato aggiornato dopo dodici anni dal governo.
  • Prevede tre possibili scenari e misure diverse a seconda che la fonte delle radiazioni sia collocata in territorio europeo o extraeuropeo.
  • Per alcune fasce di popolazione è prevista la iodoprofilassi per proteggere la tiroide.

Dopo dodici anni il governo ha aggiornato il piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari. Lo schema di decreto è stato firmato il primo marzo dal capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, ed è approdato lo scorso giovedì 10 all’esame della conferenza unificata, dove ha ricevuto parere positivo. Il documento “individua e disciplina le misure necessarie a fronteggiare le conseguenze di incidenti in impianti nucleari di potenza ubicati oltre frontiera, ossia impianti prossimi al confine nazionale, in Europa e in paesi extraeuropei”.

Cosa prevede il piano nazionale sul nucleare

Il piano individua tre possibili scenari incidentali considerato se l’impianto nucleare è posto in territorio europeo, entro oppure oltre i 200 chilometri dai propri confini nazionali, o l’incidente avviene in territorio extraeuropeo.

Se la fonte delle radiazioni fosse vicina, ovvero entro i 200 chilometri, il piano prevede di restare in un ambiente chiuso, serrare porte e finestre e spengere sistemi di aerazione per un limite “massimo ragionevolmente posto a due giorni”. In tal caso si prevede la iodoprofilassi e il controllo della filiera produttiva.

Tenendo conto della distanza del sito radioattivo e delle condizioni meteorologiche, si aggiungono il “blocco cautelativo del consumo di alimenti e mangimi prodotti localmente”, lo stop alla circolazione stradale e le “misure a tutela del patrimonio agricolo e zootecnico”. Le indicazioni restano le stesse circolate nel 1986 in occasione del disastro di Chernobyl: non consumare verdure a foglia larga e latte.

Il piano prevede che le autorità mandino comunicazioni tempestive alla popolazione. Sarà il dipartimento della Protezione Civile a comunicare quando inizierà e finirà il periodo in cui è bene restare al chiuso. Sempre le autorità, si legge, faranno fronte ai bisogni collettivi essenziali, dall’acqua all’energia.

Cos’è la iodoprofilassi

Nel documento la iodoprofilassi è definita come “una efficace misura di intervento per la protezione della tiroide, inibendo o riducendo l’assorbimento di iodio radioattivo”. La somministrazione non è prevista per tutti: sono interessate le fasce di età compre tra 0 e 17 anni, 18 e 40 anni e le donne in stato di attesa o che allattano. L’assunzione inizia meno di 24 ore prima dell’esposizione alle radiazioni nucleari e fino a due ore (massimo otto) dopo, senza esagerare perché l’eccessiva assunzione può essere più dannosa che benefica. Ad attivare le procedure di distribuzione in aree specifiche sarà il ministero della Salute.

Paura sotto controllo

Solo due giorni fa, il 9 marzo, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha confermato le voci sulla disconnessione dalla rete elettrica della centrale nucleare di Chernobyl. La Reuters oggi parla del ripristino della connessione, cosa che, come spiega all’Adnkronos Alessandro Dodaro, direttore del dipartimento fusione e sicurezza nucleare dell’Enea, consetirebbe di evitare il rischio, seppure poco concreto, legato agli impianti di raffreddamento delle piscine nei quali è stoccato il combustibile.

Il direttore generale dell’Iaea, Rafael Grossi, si è detto “preoccupato” dall’interruzione del flusso di dati nei due siti, “dove c’è una gran quantità di materiale nucleare”.

“Sono persuaso, e anche l’Europa lo è, che debba maturare la consapevolezza che le fonti energetiche rinnovabili siano importanti ma anche il nucleare di nuova generazione debba essere considerato”.

Giancarlo Giorgetti, ministro per lo Sviluppo economico

Non c’è da avere paura, continuano a ribadire le autorità italiane. L’Istituto superiore di sanità ha raccomandato di continuare a usare, come buona abitudine, il sale iodato e di evitare il ricorso a farmaci e cure “fai da te”. Intanto, sempre in via preventiva, lo scorso 10 marzo nell’annunciare il via libera della Conferenza delle Regioni al piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, il presidente Massimiliano Fedriga ha chiesto per la iodoprofilassi “di facilitare la distribuzione dello iodio stabile, anche con riferimento alla sua classificazione farmacologica, e di emanare un documento attuativo integrativo che specifichi tempistiche, modalità, attività di comunicazione, soggetti coinvolti, ruoli e responsabilità”.

Sarà caccia allo iodio?

Piuttosto che corsa a farina e lievito, com’è avvenuto durante la prima chiusura pandemica del 2020, ora il timore è di rimanere senza iodio e l’Italia, in via preventiva, sembra stia verificando le scorte di compresse di iodio stabile presenti nelle farmacie. All’indomani dell’attacco russo alla più grande centrale dell’Unione europea, quella di Zaporizhzhia nel tartassato territorio ucraino, l’attenzione è sicuramente alta e l’auspicio è che si si eviti un triste epilogo già visto con l’aggiornamento del piano pandemico.

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