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Ranuncoli, rododendri, pini cembri. E poi stambecchi e farfalle. I cambiamenti climatici mettono a rischio la flora e la fauna delle Alpi.
Le Alpi sono la regione più ricca di flora in Europa, con oltre 13mila specie vegetali, di cui circa l’8 per cento endemiche, cioè esclusive. Un primato minacciato dai cambiamenti climatici. Secondo stime recenti, infatti, circa il 45 per cento di questa flora sarebbe a rischio di estinzione entro il 2100, proprio a causa dell’innalzamento della temperatura terrestre.
Parliamo di piante quali il pino cembro, il rododendro rosso o la tussillagine alpina. Ma a rischiare sono anche il ranuncolo dei ghiacciai o l’androsace alpina che stanno man mano migrando verso altitudini sempre maggiori, entrando in concorrenza con le specie più rare che vivono a temperature più basse, in cima alle montagne. E con la flora si sposta anche la fauna, in un circolo vizioso confermato anche da uno studio intitolato The consequences of glacier retreat are uneven between plant species, che ha visto la partecipazione delle università di Stanford (California), Milano, Varese e Trento.
I pendii montuosi, la loro esposizione e l’inclinazione di avvallamenti e crinali creano una moltitudine di microclimi, ognuno caratterizzato da particolari disponibilità di acqua e nutrienti che diversificano gli habitat. La distanza dalle principali attività antropiche non basta più: gli effetti dei cambiamenti climatici si fanno sentire anche ad alte quote, modificando dei microclimi rimasti inalterati per secoli.
Se nei prossimi 100 anni la temperatura media globale crescerà di 3 gradi centigradi, nell’emisfero settentrionale le aree di vegetazione si sposteranno di circa 600 chilometri da sud a nord e di 600 metri verso l’alto (migrazione in corso già dal secolo scorso e confermata da uno studio pubblicato su Science). Si tratta di distanze non percorribili da molte piante alpine, semplicemente perché troppo lente nel farlo. Gran parte dei boschi, infatti, si sposta a una velocità di circa 100 chilometri in 100 anni e alcune specie erbose percorrono addirittura solo quattro metri in 100 anni.
“Se le attuali aree protette non saranno ampliate e messe in rete in un prossimo futuro e non si provvederà a proteggere decisamente meglio la biodiversità fuori da queste zone, molte specie scompariranno per sempre dalle Alpi”, spiega Vanda Bonardo, presidente di Cipra, network in difesa dell’ambiente della montagna, e responsabile Alpi per l’associazione Legambiente. È il caso dell’androsace alpina, pianta che esiste solo sulle Alpi o di alcuni fiori come la draba stellata.
I cambiamenti climatici non rappresentano un pericolo solo per le piante ma anche per gli animali. È il caso dello stambecco, privo di ghiandole sudoripare e che deve quindi spostarsi dove fa più freddo. “Il loro territorio si sta riducendo sempre di più e i piccoli di stambecco vengono nutriti dalle loro madri solamente in un determinato periodo dell’anno, tra giugno e luglio, quando vi è la presenza di erba verde, ricca di proteine e povera di fibre. Ma se la crescita dell’erba è anticipata, le femmine si trovano a dover allattare i piccoli quando i pascoli delle Alpi si trovano già in una fase di invecchiamento e quindi l’erba è ricca di fibre e povera di proteine”, aggiunge Bonardo. Dagli anni Novanta ad oggi, si stima che la popolazione di stambecchi che popola le Alpi sia stata dimezzata. In particolare è stato preso in esame il parco del Gran Paradiso e i dati sono decisamente allarmanti.
Altri animali a rischio sopravvivenza sono la lepre bianca, la pernice bianca, l’ermellino e alcune specie di farfalle. “È inimmaginabile un prato senza farfalle, eppure anche questi insetti sono sempre più a rischio di estinzione”, continua la presidente di Cipra. “Ad esempio la Lycaena helle, una specie un tempo piuttosto comune nelle nostre montagne, è scomparsa già nella prima metà del novecento. Un’altra farfallina, la Erebia christi, detta anche farfalla dei ghiacciai, una rarità che abita l’estremo nord del Piemonte e la confinante Svizzera, attualmente è tenuta sotto stretta osservazione poiché considerata dagli esperti una specie in declino. Il manto nevoso sotto il quale i bruchi trascorrono l’inverno è diminuito e questo costituisce un forte rischio per la specie”.
Le farfalle sono dunque indicatori dello stato di salute dell’ambiente e della biodiversità. E ci dicono che il nostro territorio non è in salute. Così, nelle politiche di conservazione dell’ambiente montano, diventa determinante l’istituzione di aree protette, insieme allo sviluppo di tutte quelle forme di cooperazione e di protezione della natura, tra le quali anche le attività agro-silvo-pastorali quali fondamentali strumenti di gestione del patrimonio naturale.
In questo senso, i parchi “diventano il laboratorio nel quale sperimentare le potenzialità degli interventi naturalistici”, conclude Vanda Bonardo. “Tra questi il ripristino degli alvei fluviali per aumentare le capacità di trattenere acqua e regolare la velocità di flusso, la salvaguardia delle torbiere e delle zone umide, ricchissime di biodiversità e in grado di trattenere molta acqua”. Infine, per affrontare meglio l’impatto dei cambiamenti climatici, “occorrerà sviluppare progetti pilota di supporto alle attività agricole, all’ecologia integrata e alla riqualificazione naturalistica per un’agricoltura basata su specie e colture diversificate, compatibili con le condizioni locali”. Tutte le buone pratiche agricole che si stanno organizzando nei parchi italiani, non solo sulle Alpi ma anche sugli Appennini, possono diventare un volano per lo sviluppo futuro dell’Italia nel quadro dell transizione ecologica.
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