Bontà svelata

Da scarti industriali a risorse, l’economia circolare rigenera gli alimenti

Il passaggio da un’economia lineare (produzione, consumo e rifiuto) a un’economia circolare in cui gli scarti industriali vengono reimmessi nel ciclo produttivo è ormai una necessità per raggiungere l’obiettivo della carbon neutrality. E sempre più startup, anche in Italia, stanno trovando progetti che cercano di dare nuova vita agli sfridi o agli scarti delle produzione industriali,

Il passaggio da un’economia lineare (produzione, consumo e rifiuto) a un’economia circolare in cui gli scarti industriali vengono reimmessi nel ciclo produttivo è ormai una necessità per raggiungere l’obiettivo della carbon neutrality. E sempre più startup, anche in Italia, stanno trovando progetti che cercano di dare nuova vita agli sfridi o agli scarti delle produzione industriali, in particolare alimentari. In questo modo, un costo di smaltimento genera nuove risorse economiche e non produce peso sull’ambiente.

L’esempio di OrangeFiber: tessuti dagli agrumi

Un esempio di economia circolare lo offre OrangeFiber, azienda catanese che utilizza i sottoprodotti agrumicoli per produrre tessuti. La giovane startupper che ha avuto l’idea è Adriana Santanocito. Lavorando con la conterranea Enrica Arena (laureata in Cooperazione internazionale per lo sviluppo e in Comunicazione) ha brevettato il processo prima in Italia nel 2013 e poi a livello internazionale nel 2014, collaborando con il Politecnico di Milano.

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OrangeFiber usa gli scarti della lavorazione delle arance per produrre tessuti – Pasta Garofalo usa gli scarti della pasta per produrre la sua cannuccia ecologica © IngImage

Nel 2015 viene inaugurato il primo impianto pilota in Sicilia che consente a OrangeFiber l’ingresso sul mercato.
La prima parte della trasformazione degli scarti degli agrumi avviene in Sicilia: qui viene estratta dagli agrumi la cellulosa che poi viene spedita in Spagna per essere trasformata in filato. Quest’ultimo torna poi in Italia, dove viene lavorato da una tessitura comasca insieme a seta e cotone per ottenere un raso e un popeline. La gamma di prodotti dell’azienda comprende poi anche un tessuto 100 per cento OrangeFiber, simile alla viscosa.

Recuperare principi attivi utili dagli scarti industriali: il progetto Hilife

In ambito alimentare, se fino a poco tempo fa la destinazione era prevalentemente la produzione di fertilizzanti, carburante o mangime animale, ora ci si sta muovendo verso il reimpiego delle parti edibili in nuovi alimenti o l’estrazione di ingredienti d’alto valore dagli scarti.

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Negli scarti delle olive restano molti polifenoli ancora utilizzabili © IngImage

Il progetto HiLife, per esempio, una collaborazione tra le università di Salerno e Messina con alcune aziende alimentari del territorio, si occupa di recuperare e riutilizzare i principi attivi dal materiale di scarto della lavorazione alimentare di tre filiere (olio, latte e agrumi) per recuperarli in prodotti salutistici, come alimenti funzionali e nutraceutici. Negli scarti di lavorazione alimentare, in altre parole, restano molti principi attivi naturali che possono essere estratti per addizionare creme e oli cosmetici oppure alimenti arricchiti o nutraceutici, senza impiegare nuove materie prime.

La carta si può fare con mais e lenticchie, ma anche con lana e cotone avanzati

Anche aziende già consolidate stanno cercando nuove strade per evitare il consumo di risorse vergini. Le carte Crush ideate dalla cartiera Favini vanno in questa direzione: già nel lontano 1992 l’azienda aveva creato Shiro alga carta, nata dalle alghe infestanti della laguna di Venezia. Da questo primo progetto, la ricerca di Favini ha prodotto carte Crush fabbricate con gli scarti del mais, delle lenticchie (in collaborazione con l’azienda cerealicola Pedon) e persino, con la nuova carta Refit, derivante dai sottoprodotti della lana e del cotone.

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Le carte Crush utilizzano gli scarti della lavorazione di mais, lenticchie e tanti altri vegetali © IngImage

Pasta Garofalo: la cannuccia diventa ecologica

Non è da meno Pasta Garofalo, che nel 2015, agli albori del dibattito sulla plastica, ha ideato una soluzione alternativa alle cannucce, oggetti dal forte impatto ambientale (in Italia se ne usano 2 miliardi l’anno) e difficili da smaltire (impiega circa 500 anni a disgregarsi completamente).

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Il contenitore per restituire le cannucce di pasta usate © Pasta Garofalo

Sono nate così le cannucce di pasta. Nel concepirle, non sono stati destinati formati esistenti adatti a quest’utilizzo, come gli ziti o i mezzani, per non generare spreco alimentare. È stata invece usata quella quota di pasta che fisiologicamente viene accantonata durante la lavorazione. Invece di eliminarla, Garofalo ha pensato di rimacinarla per produrre le cannucce.

Per ridurre ulteriormente gli sprechi e ottimizzare le risorse, nei bar e nei ristoranti viene consegnata una scatola di carta riciclata in cui raccogliere le cannucce utilizzate per poi rispedirle allo stabilimento, dove sono impiegate per generare biogas.

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