Essere Animali

Prosciutto di Parma, un’indagine svela i maltrattamenti sui maiali negli allevamenti intensivi

Sofferenze terribili per i maiali all’interno di un grande allevamento intensivo che produce il prosciutto più consumato in Italia ed esportato nel mondo.

Le immagini sono di quelle che poi la notte, quando sei nel letto e non dormi, ti frullano in testa con un sacco di domande. Possibile che dietro a un prodotto come il prosciutto di Parma, considerato un’eccellenza del made in Italy, possano nascondersi scene come quelle documentate dal team investigativo di Essere Animali? Maiali lasciati morire agonizzanti, atti di cannibalismo e comportamenti brutali degli operatori, che prendono gli animali per le zampe e li scaraventano a terra.

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Un’indagine di Essere Animali ha svelato maltrattamenti sui maiali negli allevamenti intensivi del Prosciutto di Parma © Essere Animali

L’investigazione, diffusa dal sito del Corriere della Sera con un video che conta decine di migliaia di visualizzazioni e dal Tg3, getta nuove ombre sulle condizioni degli animali negli allevamenti intensivi italiani. Maggiori informazioni sull’indagine sono contenute nel sito Prosciutto crudele di Parma. Qui vogliamo rispondere ad ipotetiche domande (in stile FAQ) dedotte dalle tante mail che ci sono arrivate che, assieme a parole di gratitudine per il nostro lavoro, contenevano richieste di informazioni a cui vogliamo pubblicamente rispondere.

Perché abbiamo svolto un’indagine proprio in questo allevamento?
Abbiamo ricevuto una segnalazione che suggeriva di verificare le condizioni degli animali in uno stabilimento in provincia di Forlì-Cesena. Sin dai primi sopralluoghi, avvenuti di notte, i nostri operatori sono venuti in contatto con molti animali visibilmente sofferenti e feriti. Da qui la scelta di piazzare telecamere nascoste per monitorare il trattamento quotidiano degli allevatori verso gli animali. Sei mesi di indagine hanno permesso di constatare che alcune pratiche, come la gestione degli animali malati, abbandonati a se stessi e lasciati morire di stenti, costituivano la cruda routine. Il cannibalismo era così diffuso che i maiali mordevano gli altri animali anche in presenza dei nostri operatori.

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L’investigazione negli allevamenti del Prosciutto di Parma ha mostrato atti di cannibalismo tra i maiali dovuti a condizioni di sovraffollamento © Essere Animali

Abbiamo denunciato l’allevamento?
Il materiale video è stato depositato al Corpo forestale dello Stato di Forlì-Cesena, unitamente a una denuncia per presunte violazioni al decreto legislativo 7 luglio 2011, numero 122 (“Norme minime per la protezione dei suini”), al decreto del 26 marzo 2001, numero 146 (“Protezione degli animali negli allevamenti”).

Il Corpo forestale dello Stato si è subito attivato effettuando un blitz dentro l’allevamento, durante il quale sono stati rinvenuti circa 550 maiali stabulati in mezzo alle feci, malati o feriti. Gli animali sono stati spostati in un capannone attiguo vuoto, allo scopo di diminuire il sovraffollamento e sono state irrogate sanzioni amministrative. Ci impegneremo affinché la questione assuma rilevanza anche in campo penale, perché simili condotte devono essere assolutamente considerate ‘atti crudeli – compiuti senza necessità’, due condizioni che la legge prevede affinché possa configurarsi il reato di ‘maltrattamento di animali’.

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Un’indagine di Essere Animali ha svelato maltrattamenti sui maiali negli allevamenti intensivi del Prosciutto di Parma © Essere Animali

Perché i controlli del Servizio veterinario nazionale e dell’Istituto Parma Qualità non hanno rivelato una simile situazione?
In verità l’avevano, almeno in parte, rilevata. In un servizio del Tg3, un responsabile dell’area Sanità veterinaria dell’Emilia Romagna ha affermato che alcune criticità dell’allevamento erano note e avevano portato a prescrizioni per migliorare la parte gestionale e strutturale. Tuttavia, non possiamo non constatare che la situazione è completamente degenerata. Il fatto che ciò sia accaduto in un allevamento fornitore di una delle marche di prosciutto tra le più vendute in Italia (dove un terzo dei prosciutti venduti è Prosciutto di Parma) dovrebbe farci riflettere.

Gli allevamenti sono tutti così?
La maggioranza del prosciutto, di Parma e non, proviene da allevamenti intensivi. Capannoni industriali in cui gli animali trascorrono, in un ambiente altamente sovraffollato, poco meno di un anno di vita, prima di essere trasportati al macello.

Il maiale, animale di indole curiosa che in natura trascorrerebbe gran parte del proprio tempo a grufolare, soffre palesemente queste privazioni e può sfogare il proprio malessere mordendo le estremità del corpo degli altri animali. Se è vero che vi sono allevamenti in cui il livello di cannibalismo è contenuto, è vero anche che la legge prevede la possibilità di mozzare la coda e ridurre gli incisivi dei maiali per limitare questo fenomeno, che quindi costituisce un serio problema.

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Per la produzione di prosciutto, di Parma e non, gli animali trascorrono poco meno di un anno di vita prima di essere trasportati al macello © Essere Animali

Ragionamento per certi versi analogo può essere fatto per i comportamenti violenti degli allevatori. Se è vero che vi saranno sicuramente stabilimenti dove non si verificano abusi, è vero che ciò non è garanzia di benessere per gli animali che, di fatto, vivono in uno spazio misero, senza poter mai accedere in un’area all’aperto.

Se non voglio mangiare la carne di animali che hanno sofferto. Cosa posso fare?
Bisognerebbe allevarli in condizioni migliori, è il primo pensiero che passa nella mente della maggioranza di tante persone. Ma se vogliamo che le nostre scelte non facciano soffrire gli animali, allora dobbiamo cominciare a considerare l’idea di non mangiare carne. A prescindere dalle condizioni di allevamento, che sicuramente influiscono sulla qualità della vita, rimane la difficoltà di immaginarsi la macellazione come una pratica non violenta. E anche volendo essere così ingenui da pensare che questa non sia sangue e grida, ma un’indolore eutanasia, rimane la verità che il suo consumo è frutto di abitudini culturali da cui ci possiamo emancipare.

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