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Minimizzare i tempi di sosta per la ricarica delle auto elettriche è uno degli obiettivi degli sforzi dei costruttori. Finalità: favorire i lunghi viaggi.
Taglia per primo il traguardo il concorrente che tocca la velocità di punta più elevata o quello che tiene una media oraria più alta dall’inizio alla fine? Risposta facile: vince il secondo. Fuori dalla metafora, il traguardo è il ripristino di un buon livello di carica della batteria; diciamo l’80 per cento della capacità massima. Il concorrente è l’auto elettrica che deve ricaricarsi. Per arrivare primi sotto l’immaginaria bandiera a scacchi, ci sono molti metodi: quello che ha studiato – e che continua ad affinare – il Gruppo Volkswagen punta tutto proprio sulla costanza di rendimento quando la spina è attaccata all’auto.
Prima di capire come si possa garantire un’elevata potenza di ricarica a lungo, vediamo qualche numero. 150, per esempio, che corrisponde ai kW di potenza di ricarica massima su cui può contare l’Audi e-tron 55 quando viene collegata a una colonnina di tipo Hpc (High power charging). Come i ben informati sapranno, ci sono marchi che sono arrivati oltre, anche ai 200 kW di picco. Valori che però dicono poco, presi singolarmente. Ciò che conta, e tanto, è la capacità dell’auto di sostenere potenze elevate a lungo. E qui il sistema di Audi fa la differenza, perché dal 5 per cento fino al 70 per cento della capacità degli accumulatori, la potenza di ricarica è sempre superiore ai 140 kW.
Con valori di questo tipo, l’Audi e-tron 55 vede ricaricarsi le sue batterie (di 95 kWh di capacità nominale), al 100 per cento in soli 45 minuti. Le auto dei marchi concorrenti, secondo le rilevazioni di Audi, richiedono il doppio del tempo: 91 minuti. Questo perché a fronte di un picco vicino ai 200 kW, già dopo dieci minuti l’elettronica di gestione abbatte la potenza di ricarica. Al minuto tredici è di circa 140 kW (come quella di Audi) e al minuto ventitré è sensibilmente al di sotto: 80 kW contro, ancora, i 140 della e-tron.
Per offrire il meglio, le batterie devono lavorare a temperature comprese tra i 25°C e i 35°C. Al di sopra e al di sotto di tale intervallo, non solo le prestazioni calano, ma anche la durata nel tempo viene compromessa (a lungo andare, ovviamente, non in seguito a un singolo episodio). E più ci si allontana dal range 25°C – 35°C, più gli effetti negativi si amplificano. Per ovviare a tutto ciò, Audi ha messo a punto un sistema di raffreddamento del pacco batterie che conta su ventidue litri di liquido e quaranta metri di tubi suddivisi in quattro circuiti. Ciò consente di disperdere il calore che inevitabilmente si genera nelle ricariche ad alta potenza, per via della resistenza elettrica interna della batteria.
Tecnicamente, a eliminare il calore in eccesso è l’unità di raffreddamento, la quale a sua volta è incollata all’alloggiamento delle batterie al litio . L’incollaggio è effettuato mediante un gel sigillante termoconduttivo, che trasferisce appunto il calore generato dalle celle in modo uniforme. Questa architettura è stata progettata anche con un occhio alla resistenza in caso di impatti.
Tutto ciò, sia chiaro, non esaurisce la sua valenza nel campo della sfida fra ingegneri: ha risvolti pratici nella vita di tutti i giorni. Immaginate di dover affrontare un lungo tragitto: se i tempi di ricarica si dimezzano, la durata stessa del viaggio si accorcia. Di più: nel momento in cui si tratta di scegliere se comprare (oppure no) un’auto elettrica, sapere di poterla utilizzare anche sulle lunghe distanze rappresenta senza ombra di dubbio una forte motivazione d’acquisto. Con tutti i benefici facilmente immaginabili, nel caso in cui questa scelta si dovesse allargare a un numero davvero ampio di automobilisti.
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