
L’etichetta di un alimento deve riportare la data di scadenza o il termine minimo di conservazione. Ecco la differenza e come comportarsi davanti a un cibo scaduto.
Il sale sparso sulla terra la inaridisce. Qual è l’effetto del suo consumo prolungato e, soprattutto, esagerato, sull’organismo? Uno studio lo rivela.
In media nei paesi industrializzati se ne consumano ogni giorno dai 12 ai 15 grammi, ma le indicazioni dei nutrizionisti dicono di non superare i 5 grammi. Che effetto ha sull’organismo il sodio “in più” che ingeriamo abitualmente ogni giorno? Lo spiega chiaramente uno studio pubblicato su Thrombosis and Haemostasis, evidenziando come il suo effetto sulle arterie sia immediato: il sale infatti attiva una citochina infiammatoria che porta direttamente alla lesione arteriosa e alla deposizione di colesterolo nelle placche. In pratica lo studio evidenzia, per la prima volta, un’azione diretta del sodio sulla attivazione del processo di danno alla superficie interna dei vasi sanguigni che conduce all’arteriosclerosi. Il sale inoltre è il principale alimento causa di ipertensione.
In passato, altri studi avevano già messo in luce la pericolosità legata al consumo di sale. Un lavoro del 2011, realizzato da esperti del Center for Disease Control di Atlanta, stabiliva infatti una connessione tra la mortalità per qualsiasi causa e l’ingestione di sale; non solo a livello cardiovascolare, quindi, ma generale, per qualsiasi malattia possibile. Un’altra ricerca, pubblicata nel 2010 sul New England Journal of Medicine, suggeriva invece che ridurre di soli 2-3 grammi al giorno la quantità di sodio abitualmente usata è vantaggioso sul piano della prevenzione e del risparmio di costi, in vite umane e in spese sanitarie correlate alle malattie che ne derivano. Lo studio faceva questa stima: per una popolazione come quella statunitense, fatta di 300 milioni di abitanti, una riduzione di 3 grammi al giorno evita circa 75.000 infarti, 50.000 ictus e 100.000 casi di malattia coronarica. Ciò si traduce in circa 80.000 morti in meno ogni anno. Un risultato che supera di gran lunga quello che si potrebbe ottenere con l’utilizzo di farmaci antipertensivi.
“Non si tratta di abolire i cibi salati, ma di ridurli”, spiega l’allergologo e immunologo clinico Attilio Speciani. “Io ad esempio da anni ho smesso di condire con il sale l’insalata o qualsiasi pietanza. Preferisco usare timo, origano, curcuma e altre spezie per insaporire, e limito molto il pane, che è uno degli alimenti più ricchi di sale, preferendo al suo posto patate bollite o riso alla cinese o cous-cous. In questo modo il mio utilizzo giornaliero di sale è decisamente inferiore ai 5 grammi e contribuisco al mantenimento della mia salute in modo consapevole. Il problema di oggi – continua Speciani – è che questo ingrediente è aumentato in tutte le preparazioni industriali. Ma insaporire è diverso da salare. Bastano soli 8-10 giorni di “svezzamento” dal sodio per riuscire a risentire i gusti veri del cibo”.
Il sale si nasconde in molti alimenti già pronti. Nel pane, appunto, (1,5 grammi per 100 grammi di pane), nei prosciutti, nei salumi, nelle carni conservate, nei formaggi e nei prodotti da forno, anche in quelli dolci.
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