La Russia espelle 755 diplomatici statunitensi, la risposta alle nuove sanzioni

La Russia espelle 755 diplomatici statunitensi. È la reazione del Cremlino alle nuove sanzioni approvate dal Congresso in risposta alla presunta interferenza di Mosca nelle elezioni americane. La luna di miele è già finita?

Il 27 luglio 98 senatori su 100 hanno votato a favore del decreto che impone nuove sanzioni contro la Russia, dopo che questo era già passato alla Camera dei rappresentanti con 419 voti a favore e tre contrari. Così il Congresso ha deciso di punire il presidente russo Vladimir Putin in seguito alle accuse di interferenza nelle elezioni che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca. Il voto non ha solo messo il presidente americano in difficoltà – Trump aveva dichiarato di non voler sostenere le sanzioni pur trovandosi “costretto” ad approvarle per evitare potenziali accuse di essere “succube” dei russi – ma ha anche scatenato la reazione dello stesso Putin che ha chiesto l’espulsione di 755 membri del corpo diplomatico statunitense. Un grosso passo indietro per le intenzioni di Trump, finora determinato a migliorare le relazioni tra i due Paesi.

Russia espelle 755 diplomatici
Il Congresso degli Stati Uniti: il Senato e la Camera dei rappresentanti riuniti © Alex Wong/Getty Images

La Russia espelle 755 diplomatici statunitensi

L’annuncio di Putin è avvenuto venerdì 28 luglio e confermato domenica. Entro il primo primo settembre più di 700 persone che lavorano presso l’ambasciata americana a Mosca e i consolati di Ekaterinburg, Vladivostok e San Pietroburgo saranno esonerate dall’incarico. Dato che gli Stati Uniti impiegano perlopiù cittadini russi in ruoli come traduttori, cuochi, autisti, in realtà non è detto che la decisione colpirà direttamente persone di nazionalità statunitense. La missione, in ogni caso, subirà una contrazione, passando da circa 1.200 a 455 membri: la stessa dimensione della delegazione russa a Washington.

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A New York, negli Stati Uniti © Spencer Platt/Getty Images

Inoltre, il Cremlino ha dichiarato che verranno confiscati un magazzino e una casa di campagna usata per i barbecue di proprietà degli americani, decisione che rispecchia quella dell’ex presidente Barack Obama del dicembre 2016 che ha visto il sequestro di due proprietà russe negli stati del Maryland e di New York.

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A Vilnius, in Lituania © Sean Gallup/Getty Images

La reazione degli Stati Uniti

“Abbiamo già aspettato abbastanza, sperando che la situazione migliorasse – ha dichiarato Putin in un’intervista alla televisione russa –. Ma se qualcosa cambierà, non sarà a breve”. Se da un lato il capo di stato russo non nasconde la sua impazienza sulla lentezza con cui il riavvicinamento tra i due paesi si sta verificando, dall’altro sostiene che ci siano diverse aree in cui possono continuare a collaborare, ad esempio nell’ambito della guerra in Siria, confermando che la Russia rimane comunque aperta a voler migliorare i rapporti.

Dalla parte statunitense la risposta all’annuncio della riduzione del suo personale diplomatico è stata secca: “Questa è un’azione spiacevole e ingiusta – ha dichiarato il dipartimento di Stato –. Stiamo valutando quale sarà l’impatto di questa limitazione e come risponderemo”.

I rapporti tra Usa e Russia

Trump non è ancora riuscito a siglare il miglioramento dei rapporti con i russi, né a modificare la linea politica intrapresa dal suo predecessore. Oltre a confiscare le proprietà in Maryland e a New York, lo scorso dicembre Obama aveva anche espulso 35 diplomatici russi in risposta ai presunti attacchi da parte di hacker russi ai danni del Partito democratico e della campagna elettorale della candidata Hillary Clinton. Inoltre, è stato proprio Obama a emanare gli ordini esecutivi che hanno istituito le sanzioni contro la Russia sancite dal voto del Congresso settimana scorsa, e che quindi diventeranno legge. Il decreto, sostenuto sia dai democratici sia dai repubblicani, prevede nuove sanzioni non solo contro la Russia ma anche contro l’Iran e la Corea del Nord dando al Congresso il potere di bloccare la Casa Bianca nel caso in cui decidesse di rimuoverle, anche solo parzialmente.

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L’incontro tra Trump e Putin il 7 luglio al G20 di Amburgo © Steffen Kugler/BPA via Getty Images

La saga Usa-Russia, dunque, continua ad infittirsi. L’intelligence statunitense continua a indagare sulla presunta interferenza russa nelle elezioni dell’8 novembre scorso. Mentre Trump continua a negare questo scenario – posizione sempre più insostenibile perché lo stesso Donald Trump Jr., suo figlio, ha ammesso di aver incontrato i russi durante la campagna elettorale per avere informazioni che screditassero Clinton. Evidentemente i membri del Congresso, anche quelli che hanno dichiarato la loro fedeltà a Trump, continuano a vedere la Russia come un nemico e una minaccia nonostante il loro presidente abbia scommesso molto su una distensione dei rapporti. Così, nel primo voto che ha riunito i due poli della politica statunitense dall’inizio della nuova presidenza, democratici e repubblicani hanno deciso di limitare i poteri dell’esecutivo nell’ambito di una delle questioni più delicate della presidenza Trump.

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