Uno studio rivela come, a fine secolo, la siccità minaccerà l’agricoltura in pendenza e invoca interventi per proteggere il suo valore storico e culturale.
Cosa si può fare per salvare i patrimoni Unesco dalla crisi climatica
Dai palazzi settecenteschi tedeschi alla barriera corallina in Belize, i patrimoni Unesco subiscono la crisi climatica. Ma le comunità provano a difenderli.
Innalzamento del livello dei mari, ondate di caldo estremo, fenomeni meteorologici violenti. Gli effetti dei cambiamenti climatici non creano conseguenze solo a popoli ed ecosistemi. A sperimentarne la loro gravità sono anche le bellezze architettoniche e naturalistiche patrimoni Unesco, fragili testimoni del clima che cambia. I primi allarmi sono stati lanciati dal Comitato del patrimonio mondiale già nel 2006 con il report Prevedere e gestire gli effetti dei cambiamenti climatici sul patrimonio mondiale. Un documento poi aggiornato dieci anni più tardi a fronte del numero crescente di siti coinvolti. Secondo le stime dell’Unione mondiale per la conservazione della natura (Iucn) comparse nel World heritage outlook del 2020, infatti, il 33 per cento dei siti Unesco è sotto grave minaccia (83 su 252), in forte aumento rispetto al 26 per cento del 2017 e al 15 per cento del 2014. Per questo sono stati fissati degli obiettivi di salvaguardia da raggiungere entro il 2030 utilizzando le risorse in maniera più efficiente, promuovendo progetti di resilienza climatica e limitando le emissioni inquinanti. Ecco allora come alcuni siti stanno correndo ai ripari.
Tre patrimoni Unesco salvaguardati dalla crisi climatica
- Tenuta di Sanssouci a Potsdam, in Germania
- Centro storico di Lamu, in Kenya
- Barriera corallina del Belize
Resilienza verde per il parco delle tenute prussiane in Germania
Costruita per essere una villa di delizia “senza preoccupazioni”, la tenuta Sanssouci del re prussiano Federico il Grande di grattacapi ne ha però accumulati parecchi. Soprattutto negli ultimi anni, quando periodi di grande caldo, alternati a forti piogge, hanno minato la stabilità del parco e la tenuta delle architetture. Siamo in Germania, nella città di Potsdam, dove i palazzi e i giardini settecenteschi del parco sono stati dichiarato patrimoni dell’umanità Unesco nel 1990. Tuttavia, negli ultimi dieci anni questo tesoro ha iniziato a mostrare diverse crepe, a cominciare dall’umidità che ha danneggiato mobili d’epoca e intonaco delle facciate a causa delle intense perturbazioni giunte improvvise dopo lunghi periodi di siccità. E il parco intorno non se la passa meglio, visto che le ondate di calore estreme hanno portato alla morte di molti alberi secolari. Il prosciugamento delle falde sotterranee ha tolto nutrimento agli alberi che si ammalano con molta più rapidità sviluppando batteri e funghi.
Ma a salvare il patrimonio in pericolo sono scesi in campo gli esperti della Fondazione dei palazzi e dei giardini prussiani. Le soluzioni adottate? Per dare respiro agli ambienti storici, ha fatto installare un sistema di ventilazione più efficiente. Oltre a ciò, ha limitato il numero dei visitatori allo scopo di ridurre la condensa accumulata col calore corporeo. Per gli alberi, un sistema d’irrigazione intelligente che va a sopperire alle mancanze là dove necessario. Sempre per rendere più resiliente il patrimonio arboreo, sono state avviate nel parco piantagioni di alberelli naturali, più resistenti degli esemplari in vivaio perché abituati a crescere in quelle condizioni climatiche. Questi andranno a sostituire le piante cadute.
Più mangrovie e senso di comunità per proteggere Lamu in Kenya
Considerato l’insediamento swahili più antico e meglio conservato d’Africa, il centro storico di Lamu è entrato nel 2001 nella lista dei patrimoni mondiali Unesco. La sua bellezza è tuttavia anche la sua condanna. Costruito in pietra corallina e legno di mangrovie su di un’isola sabbiosa lungo la costa settentrionale del Kenya, Lamu è una visione con il suo labirinto di cortili, vicoli e portali intagliati. Ma la vicinanza alle acque dell’oceano ne sta minando la stabilità. L’innalzamento del livello del mare e le frequenti mareggiate hanno infatti danneggiato le architetture con infiltrazioni e crolli. Ad aggravare l’erosione c’è la deforestazione delle mangrovie, barriere naturali contro le onde e i forti venti, cui si è aggiunto l’accumulo incontrollato dei rifiuti.
Per salvare questo tesoro minacciato, negli ultimi anni sono state messe in campo diverse strategie. La Commissione nazionale keniota per l’Unesco ha iniziato un’opera di sensibilizzazione con seminari per coinvolgere la comunità nella salvaguardia del proprio bene, ricorrendo anche a metodi tradizionali della sapienza indigena. A ciò si aggiunge un sistema di monitoraggio dei livelli delle acque e la protezione dell’ecosistema delle mangrovie. Oltre a questo è stata avviata un’opera di raccolta differenziata e riciclo per limitare l’impatto dei rifiuti plastici, nonché l’utilizzo di fonti rinnovabili come l’energia solare per alimentare l’illuminazione cittadina.
Stop alle trivelle per salvare la barriera corallina del Belize
Seconda solo a quella australiana, la barriera corallina del Belize si estende per circa 300 chilometri dando vita e riparo a oltre 1.400 specie, di cui diverse in pericolo di estinzione. Considerata uno degli ecosistemi dalla maggiore biodiversità al mondo, questa meraviglia subacquea (dichiarata Patrimonio mondiale nel 1996) rappresenta anche una fonte di sostentamento per la metà della popolazione del piccolo stato centroamericano. Tuttavia, ciò non è bastato a preservarla dalle minacce dell’impatto umano come la distruzione delle mangrovie e degli ambienti marini dovuti alla vendita e l’affitto di terreni. Una tagliola tanto affilata quanto gli effetti dei cambiamenti climatici, che hanno portato allo sbiancamento dei coralli a causa dell’acidificazione delle acque e dell’aumento della temperatura. A tutto ciò si aggiunge l’innalzamento del livello dei mari e l’aumento di tempeste sempre più violente. Un concorso di fattori che hanno indotto l’Unesco a inserire questo bene tra quelli in pericolo.
Almeno fino al 2018, quando il paese ha raggiunto diversi obiettivi grazie a una serie di progetti di tutela che hanno convinto la commissione internazionale a sciogliere le riserve. Fra questi figura la moratoria permanente sull’attività petrolifera offshore, imposta alle compagnie estrattive dal governo, per fermare la trivellazione nell’area intorno alla barriera corallina. La Great barrier reef foundation ha inoltre lanciato il progetto Resilient reefs avviando consultazioni internazionali per tutelare questo bene dell’intera comunità, allo scopo di raggiungere una gestione più sostenibile possibile. A sostenere le iniziative di salvaguardia delle barriera è stato persino istituito un Blue bond da 364 milioni di dollari, il più grande strumento finanziario creato finora per la conservazione degli oceani.
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