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Una coppia di agricoltori americani sta dimostrando come il razzismo e i cambiamenti climatici si combattano anche con l’agricoltura biologica.
“È così giovane, ma così coraggiosa, fiera, devota. Il suo cuore trabocca d’amore. Quando sei con lei, ti sembra di fare un viaggio indietro nel tempo, fino a conoscere i tuoi antenati. Capisci che lei ha una missione, una missione assegnatale dai nostri antenati”.
Così Karen Washington, 67 anni, descrive l’amica 41enne Leah Penniman. Le due donne si sono conosciute a uno dei tanti ritrovi organizzati alla Soul fire farm. Situata nei monti Taconic, facenti parte della più famosa catena degli Appalachi sulla costa orientale degli Stati Uniti, è la fattoria che Penniman e il marito Jonah Vitale-Wolff hanno aperto nel 2010, una volta completata la sistemazione del terreno comprato nel 2006. Una scelta dipesa dalla carenza di cibi freschi e genuini nella città in cui vivevano, Albany (capitale dello stato di New York), e dalla violenza che insanguinava le sue strade: i figli più piccoli della coppia sono sopravvissuti per miracolo a una sparatoria.
Inizialmente, non è stato facile. “Quando siamo arrivati, nevicava. Così forte da restare bloccati. Era il 26 dicembre, appena dopo Natale. Ricordo che piansi”, racconta Penniman al Washington post. Era piena di dubbi: “Avrò preso una decisione saggia?”, si chiedeva. “Perderò i miei amici?”. A distanza di anni, la scelta si è rivelata essere quella giusta.
Quando i fiori cominciarono a sbocciare alla Soul fire farm, lo stesso accadde a Leah Penniman.
Madre haitiana, padre statunitense, Leah Penniman è alla guida di una piccola, grande rivoluzione. Alla sua fattoria, che si estende per circa 30 ettari, si coltiva solamente con i princìpi dell’agricoltura rigenerativa, che permettono di beneficiare delle proprietà della terra senza doverla sfruttare o impoverire. Lo staff di Soul fire coltiva qualcosa come 100 quintali di verdura, frutta e piante medicinali che consegna, insieme alle uova fresche, in tutta la zona – persino ai vecchi vicini di Penniman, ad Albany.
Mentre l’agricoltura tradizionale nel 2019 ha generato il 10 per cento delle emissioni di gas serra negli Stati Uniti – senza contare quelle causate dalla conversione dei terreni –, un aumento dell’1 per cento di materia organica in appena mezzo ettaro di suolo abbatte circa 10 tonnellate di anidride carbonica.
È lo scopo di questa donna coraggiosa, ma non è l’unico: sta cercando di condividere le sue conoscenze con afroamericani e nativi che vogliono entrare nel mondo dell’agricoltura, così da renderli parte del cambiamento. Vuole sfatare il mito dei “neri che non hanno voglia di lavorare la terra”. Come spiega nel suo libro Farming while black, non è certo questa la ragione per cui gli agricoltori neri sono passati dall’essere il 14 per cento del totale nel 1910 al 2 per cento adesso, mentre i latinoamericani costituiscono poco più del 3 per cento e asioamericani e indigeni circa il 2 per cento.
Il vero motivo è quello che lei definisce “food apartheid”: le decisioni prese dai bianchi al governo, dai bianchi che popolano gli stati rurali e dai bianchi che, nelle banche, possono concedere prestiti oppure no. Stando ai portavoce degli imprenditori agricoli afroamericani, questi ultimi sono stati “emarginati e sistematicamente discriminati” per anni dal dipartimento dell’Agricoltura, sia tramite leggi sia tramite logiche di mercato perverse che hanno reso più difficile per loro l’accesso ai finanziamenti e ai programmi statali – tanto che nell’ultimo secolo le terre da loro possedute sono diminuite dell’85 per cento. Senza contare che le minoranze sono anche le principali vittime dei cambiamenti climatici: non solo le aree in cui vivono sono spesso le più colpite dai fenomeni meteorologici estremi, ma “è anche più probabile che questi li lascino senza casa”, spiega Penniman.
I corsi offerti dalla donna, che ha studiato e viaggiato per acquisire le competenze necessarie, hanno riscosso un successo straordinario. Nel 2019 la fattoria Soul fire ha educato 120 persone di colore, insieme a più di 900 attivisti. 675 giovani hanno partecipato a incontri sulle tecniche di coltivazione e sulla giustizia alimentare. Anche grazie a questi progetti, sono nate quattro nuove aziende agricole.
Ciò che mi entusiasma più di ogni altra cosa è la capacità dell’agricoltura rigenerativa afroindigena di ridurre i livelli di CO2. Stiamo dimostrando come sia possibile stoccare carbonio nel suolo impiegando i nostri metodi ancestrali come compostaggio e sod seeding, cioè la mancata lavorazione dei terreni dedicati alle coltivazioni erbacee.
Penniman propone anche classi di falegnameria, di apicoltura, lezioni sui funghi e sulla salute del suolo. “Sta insegnando e dimostrando che non serve sfruttare la natura e le persone per sfamare le comunità con abbondante cibo nutriente”, dice Ricardo Salvador, della Union of concerned scientists. La Soul fire farm è fra i membri della National black food and justice alliance, di cui fanno parte agricoltori e attivisti che condividono gli stessi obiettivi e li stanno portando avanti con ardore.
Questa fattoria è un esempio di come spesso, per guarire il Pianeta, basti guarire gli esseri umani e viceversa. È l’ennesima dimostrazione di quanto la salute della Terra e quella dei suoi abitanti siano collegate. Una società giusta è una società più forte di fronte alla crisi climatica. Bisogna essere disposti a compiere dei sacrifici, la storia di questa coppia che vi abbiamo raccontato non lo nasconde, ma rivela contemporaneamente quanto positivi possano essere i risultati. Ed è proprio verso la luce che dobbiamo guardare.
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