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Offrire le potenzialità della blockchain anche alle piccole imprese, con un sistema economico e intuitivo. È l’intuizione della startup Spartan Tech.
Mettiamoci nei panni di un piccolissimo produttore di passata di pomodoro che è riuscito con fatica a portare il suo marchio nei supermercati di tutt’Italia. Un produttore virtuoso, che ci tiene a distinguersi da quei competitor pronti a sacrificare la qualità e i diritti dei lavoratori pur di vendere un barattolo a pochi centesimi. Un metodo per certificare la sua filiera, dal campo allo scaffale, esiste. Si chiama blockchain ed è una delle tecnologie più in voga degli ultimi anni. Il grosso scoglio però è rappresentato dai costi, che finora per il nostro piccolo produttore sono stati inavvicinabili. Ma il passato è d’obbligo, perché a superare questo ostacolo ci pensa Spartan Tech, una startup tutta italiana. Spartan Tech è una delle prime realtà selezionate da LifeGate Way, il programma di accelerazione sviluppato da LifeGate grazie alla campagna di equity crowdfunding lanciata su Mamacrowd.
Capire la blockchain è un compito arduo anche per un tecnico informatico, perché questo paradigma (nato poco più di dieci anni fa) sovverte i principi delle architetture tecnologiche così come le conosciamo. Qualsiasi sistema informatico, infatti, si regge su un server. Quando una persona digita una chiave di ricerca, interroga il server di Google che gli restituisce alcune risposte. Se quel server subisce un attacco, però, trascina con sé l’intero sistema. È capitato anche ad alcune grandi banche, nonostante i loro avanzati protocolli di sicurezza.
La blockchain invece ha una struttura reticolare in cui non esiste alcun centro. Chiunque, da ogni angolo del Pianeta, può mettere a disposizione la potenza di calcolo del suo computer o del suo smartphone, diventando un nodo della rete. Va da sé che nemmeno l’hacker più incallito possa sabotare in contemporanea migliaia di dispositivi in tutto il mondo. Oltre a questa, ci sono altre due tutele per la sicurezza. Ogni utente possiede una chiave pubblica, che può comunicare agli altri come un comune indirizzo email, e una chiave privata che non dovrà mai condividere con nessuno. Infine, ogni transazione viene registrata su tutti i nodi del mondo: se un utente prova a falsificarla, viene immediatamente riconosciuto ed estromesso.
Con un sistema di questo tipo, il nostro piccolo produttore di passata di pomodoro può monitorare tutti i passaggi della filiera; se per caso qualcosa va storto, capisce immediatamente il perché e come può rimediare. Al cliente basta un QR code per ripercorrere il viaggio del pomodoro dal campo allo scaffale, senza alcun dubbio sulla veridicità delle informazioni che legge.
La blockchain ha potenzialità incredibili, ma si porta dietro anche due limiti: è energivora e complessa. Limiti che la rendono estremamente costosa. “Con Spartan Tech vogliamo renderla più democratica e sostenibile, anche per le piccole e medie imprese”, spiega Pietro Gorgazzini, convertito al mondo tech dopo un passato nella comunicazione. Insieme a lui, gli altri fondatori della startup sono l’ingegnere informatico Alan Torrisi e Paul Renda, socio di riferimento e amministratore delegato di Miller Group e vice presidente di Assolombarda, per cui presiede anche il Gruppo giovani imprenditori.
“Abbiamo depositato due brevetti che ci permettono di comprare le transazioni al prezzo migliore e aggregarle tra loro. Così facendo, abbattiamo i nostri costi e possiamo offrire la blockchain al cliente a un prezzo irrisorio”, continua Gorgazzini. Ma una piccolissima realtà sarà in grado di introdurre un sistema così complesso, senza dover assoldare una squadra di ingegneri informatici? La risposta è sì, perché Spartan Tech ha reso disponibile la blockchain a tutti tramite un sistema intuitivo e auto-configurante, che può essere gestito da chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il computer. “Un po’ come l’email, che usiamo ogni giorno pur senza sapere come funziona a livello tecnico”.
“Questo apre uno scenario immenso per le eccellenze del made in Italy, che ora possono attestare e comunicare il loro valore in un’ottica di totale trasparenza”, assicura Pietro Gorgazzini. Evitando, una volta tanto, di introdurre le nuove tecnologie con quattro o cinque anni di ritardo rispetto alle loro omologhe straniere. “Abbiamo lanciato la nostra startup nel bel mezzo del primo lockdown. Durante una fase di paralisi generale, infatti, le piccole e medie imprese avevano l’opportunità di scoprire quelle tecnologie che fino a poco prima apparivano come un ‘nice to have’ (cioè interessanti ma non strettamente necessarie) e d’improvviso sono diventate indispensabili. Con un mercato interno bloccato bisogna puntare sull’estero, dove il valore del made in Italy è tenuto in grande considerazione”.
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