Sulle Dolomiti sono apparsi degli adesivi che invitano a riflettere sugli impatti dell’overtourism. Dopo Spagna e Grecia, il dibattito arriva anche in Italia.
Dopo la tempesta Vaia, sono in arrivo i boschi del futuro
Un laboratorio a cielo aperto, nuovi rimboschimenti, ricchi in biodiversità: come stanno rinascendo i boschi dopo la tempesta Vaia del 2018.
- Dopo la tempesta Vaia, gli abeti rossi superstiti sono stati colpiti da un’epidemia di bostrico tipografo.
- Cinque anni dopo sono numerosi i progetti di rimboschimento.
- Boschi ricchi in biodiversità sono più resistenti agli eventi estremi e ai cambiamenti climatici.
“Per noi è stato un fatto drammatico, qualcosa di totalmente nuovo che non avevamo mai vissuto”, racconta così quella notte Daniele Zovi, ex forestale e scrittore cresciuto nell’altopiano di Asiago. “In una ventina di minuti abbiamo visto cadere un milione di alberi solo sull’altipiano. Questi alberi sono caduti uno sull’altro, chiudendo strade, mulattiere, sentieri”. È così che Zovi ricorda quei giorni, impossibili da dimenticare, in cui la tempesta Vaia ha distrutto 2.300 ettari di bosco in tutto l’altopiano e 400 circa nel comune di Asiago. Se da un lato oramai la maggior parte degli alberi abbattuti sono stati portati via, dall’altro le cicatrici in questo territorio restano, e si vedono sui versanti dei monti, sui pendii spogli, sulle ceppaie rimaste a memoria dei “caduti”. “Ci abbiamo messo un bel po’ a capire la vastità del problema, e abbiamo impiegato cinque anni a portare via tutto il legno che era caduto”, continua Zovi.
Con il bostrico una corsa contro il tempo
Oggi però, a cinque anni di distanza, c’è un altro problema che i boschi stanno affrontando, molto più piccolo come dimensioni, quasi invisibile, ma capace di colpire decine di centinaia di abeti rossi, rimasti in piedi dopo la tempesta. Si tratta di un piccolo insetto, il bostrico tipografo (Ips typographus) che infetta in massa le piante già danneggiate da eventi estremi – come Vaia e la siccità durata quasi due anni – determinando la morte di migliaia di piante, in particolar modo di abete rosso e più raramente anche di abete bianco, larice e pino silvestre. L’insetto è naturalmente presente negli ecosistemi forestali e in condizioni normali svolge un ruolo ecologico importante, attaccando le piante deboli o giunte alla fine del loro ciclo vitale.
“Si tratta di un piccolo coleottero. La femmina depone le uova sotto la corteccia, scavando cunicoli e di fatto interrompendo il trasporto della linfa”, spiega Zovi. “Hanno un’enorme capacità di moltiplicarsi e la pianta colpita muore in un paio di mesi. Il bostrico è da sempre presente nelle nostre foreste, ma si è moltiplicato a dismisura sfruttando le piante cadute con Vaia, e poi è andato sulle piante in piedi”. E così anche dopo anni, i danni di Vaia si fanno sentire ancora: “perché stanno morendo decine di migliaia di piante colpite da questo insetto”. Gli alberi colpiti sono ben visibili, e i tecnici forestali lavorano costantemente per monitorare l’avanzamento di quella che è una vera e propria epidemia e decidere quali alberi abbattere per contenerla.
“Da Vaia in poi stiamo praticamente lavorando sempre in emergenza. Speriamo di tornare a fare selvicoltura prima o poi”, afferma Christian Rebeschini, guardia forestale del comune di Asiago, mentre camminiamo alla ricerca delle prove del bostrico tipografo: con l’accetta scorteccia delicatamente il tronco d’abete per valutare quanto grave sia l’infestazione. L’albero ha la cima rossastra, mentre intorno a lui si notano già gli effetti dell’attacco da parte degli insetti nei confronti degli altri abeti. Una corsa contro il tempo.
La lezione di Vaia
Ma Vaia non è stata solo devastazione. Il lato positivo, se così si può considerare, è stata l’opportunità per forestali, agronomi, operatori boschivi e amministratori pubblici di lavorare su un laboratorio a cielo aperto. L’obiettivo è quello di arrivare pronti al prossimo evento estremo e di ricreare strutture forestali capaci di resistere alle perturbazioni e alle mutate condizioni climatiche. Boschi e foreste dove viene dato ampio spazio alla biodiversità, alla diversità delle specie, ad una visione di bosco da gestire in maniera responsabile. Ed è ciò che è avvenuto con uno dei tanti progetti avviati sul territorio, come il Vaia-Front realizzato dal Dipartimento territorio e sistemi agro forestali (Tesaf) dell’università di Padova. “Per due anni abbondanti ci siamo occupati dell’argomento interagendo con i massimi esperti europei, per individuare i fattori determinanti degli schianti, valutarne la suscettibilità”, spiega Emanuele Lingua, professore ordinario al Tesaf. “E andare così a definire delle strategie di ripristino forestale più in linea con le dinamiche naturali, per creare foreste più resistenti alle variazioni climatiche”.
I risultati di questi lavori hanno portato a diverse pubblicazioni internazionali, sviluppando nuovi modelli predittivi e capaci di valutare il rischio in ambiente alpino. Modelli che “prima non c’erano”, continua Lingua. “Ma anche modelli che valutano la resistenza di un determinato popolamento forestale e le aree a rischio”.
Sono così stati valutati anche i vari progetti che si sono attivati negli anni, preferendo il rimboschimento naturale e scegliendo i cosiddetti “micrositi favorevoli”, come possono essere le ceppaie (la parte di albero schiantato con le radici che rimane al suolo). E si è dato spazio alla realizzazione di boschi biodiversi, con una ricchezza in specie specifica per ogni area. Insomma i boschi del futuro: “Per noi è stato un laboratorio a cielo aperto: abbiamo potuto trasferire ciò che già sapevamo nella pratica e testarlo sul territorio, monitorandone gli effetti, perché da quell’ondata di iniziative possiamo imparare molto”, sottolinea il professore. “Non faremo gli stessi errori avvenuti e saremo più preparati”.
Gli altri progetti di rimboschimento
Anche il progetto Oltre-Vaia, coordinato sempre dal Tesaf, con la collaborazione del comune di Asiago e Fsc Italia, ha le stesse finalità: un reimpianto delle superfici forestali su un’area di 3 ettari sulla sommità del monte Mosciagh, in parte lasciata ad evoluzione naturale ed in parte destinata alla messa a dimora di circa 6mila piantine tra cui abete bianco, larice, sorbo, betulla, faggio, acero. “Un modo per far capire alla nostra comunità e all’esterno il modo con cui sono gestiti i nostri boschi, e testimoniare che una ripresa è possibile soltanto se daremo ancora più importanza alla resilienza e resistenza di queste aree”, ha detto Diego Rigoni, ex consigliere del comune di Asiago e primo promotore del progetto.
Oggi, dopo quasi tre anni, è possibile scorgere i piccoli alberi tra rovi e arbusti, farsi spazio e crescere su questi versanti ormai spogli. Vaia ci ha insegnato che eventi estremi così potenti possono accadere, senza preavviso. Ci ha insegnato che boschi monospecifici, piantati senza seguire le naturali diversità della montagna, sono i più soggetti agli impatti portati da calamità naturali ed epidemia. Ci ha insegnato che è possibile progettare e gestire boschi e foreste nuovi, capaci di adattarsi e resistere nel prossimo futuro, anche a fronte della crisi climatica che stiamo vivendo.
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