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Il settore alimentare e delle bevande è il più vulnerabile alle emergenze ambientali del ventunesimo secolo, ecco come le aziende possono invertire la tendenza.
Negli ultimi tempi sta crescendo l’attenzione che dedichiamo all’origine del cibo che arriva sulle nostre tavole, molti aspetti, però, rimangono tuttora un mistero per la maggior parte dei consumatori. Di rado pensiamo, ad esempio, alla quantità di acqua che è stata utilizzata per coltivare l’insalata che stiamo mangiando, oppure alle emissioni di CO2 generate per trasportare uva dal Cile alla nostra città, o all’enorme impatto ambientale provocato da fertilizzanti e pesticidi.
L’agricoltura rappresenta a livello globale il 70 per cento del consumo di acqua, mentre fertilizzanti, concimi e pesticidi sono una delle principali cause di inquinamento delle falde acquifere. L’agricoltura causa inoltre il 75 per cento della deforestazione mondiale e provoca circa il 17 per cento del totale delle emissioni di gas a effetto serra.
Il settore food & beverage ha quindi la responsabilità di ridurre il proprio impatto e deve affrontare grandi sfide come il cambiamento climatico e la scarsità di acqua. Oltre all’impoverimento delle risorse e alla minore disponibilità di acqua il settore alimentare deve vincere la sfida per i diritti umani, troppo spesso calpestati in un comparto che predilige manodopera a basso costo. Per invertire questa tendenza le società che operano nel settore alimentare e delle bevande devono fare della sostenibilità il proprio valore guida ed agire di conseguenza.
Un recente studio condotto da Ceres, organizzazione no profit per la sostenibilità, e Sustainalytics, ente specializzato in ambiente e governance, che mira a valutare come le maggiori società statunitensi si stanno preparando ad affrontare le sfide ambientali, ha preso in esame 24 aziende che producono alimenti e bevande, come Campbell Soup Company e Pepsi. Dallo studio emerge una tendenza incoraggiante: sono sempre di più le aziende che iniziano a considerare la sostenibilità una priorità, perlomeno in alcuni aspetti della loro attività.
Più della metà delle società valutate, ad esempio, ha assunto o nominato precise figure professionali per elaborare una strategia di sostenibilità. Il settore alimentare sta inoltre impegnandosi per ridurre le emissioni di CO2. Quasi l’80 per cento delle aziende studiate ha elaborato programmi per ridurre le emissioni, paradossalmente però, solo il 25 per cento di queste aziende utilizza fonti di energia rinnovabili. Nonostante i progressi compiuti il settore è ancora molto lontano dagli obiettivi.
Per intraprendere la giusta direzione le aziende dovrebbero adottare questi tre punti:
1. Elaborare un solido processo di valutazione del rischio. Stilare obiettivi chiari per la sostenibilità e scadenze precise.
2. Migliorare la comunicazione al pubblico circa la filiera e l’impatto dei prodotti. Quando le aziende comunicano al pubblico informazioni sulle loro prestazioni, qualunque sia l’argomento, tendono ad indorare la pillola e a migliorare le performance.
3. Stabilire programmi chiari e incentivi per gli agricoltori e i produttori per attuare pratiche sostenibili e misurare il miglioramento raggiunto dal settore.
Nessun settore dell’economia è più vulnerabile ai cambiamenti climatici, alla scarsità d’acqua e alle altre sfide ambientali come il settore alimentare e delle bevande. La reazione delle aziende a queste sfide avrà importanti conseguenze per i miliardi di persone che dipendono da loro e per il futuro dell’economia.
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