Cooperazione internazionale

Un cittadino bengalese è stato accolto in Italia come rifugiato ambientale

Con una sentenza che farà storia, un giudice del Tribunale di L’Aquila ha accolto una richiesta d’asilo per motivi ambientali. Non è la prima volta, ma la giurisprudenza è fondamentale per l’adozione di una terminologia universale.

Con un’ordinanza fuori dal comune, il Tribunale di L’Aquila ha concesso il diritto di asilo a un profugo a causa dei cambiamenti climatici. La giudice Roberta Papa ha riconosciuto, infatti, la protezione umanitaria a un cittadino del Bangladesh che aveva dichiarato di essersi irrimediabilmente indebitato dopo aver perso il suo terreno agricolo a causa di un’alluvione. È uno dei primi casi di accoglienza di questo tipo, da rifugiato ambientale, in Italia.

La motivazione datata 18 febbraio 2018 fa riferimento alle problematiche legate agli eventi climatici disastrosi che interessano il Bangladesh, annoverando tra le cause il land grabbing e la deforestazione e citando in merito il rapporto Crisi Ambientali e migrazioni forzate firmato dall’associazione A Sud.

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Nel 2017 un intenso alluvione ha colpito il Bangladesh causando più di 150 morti © Paula Bronstein/Getty Images

Cosa dice la sentenza del Tribunale di L’Aquila

In una sentenza, che si può definire storica per la sua portata, il giudice ha ricordato come l’Italia abbia ratificato il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.

Il primo prevede che gli stati aderenti riconoscano il diritto di ogni individuo “a un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario, un alloggio adeguati, nonché il miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita”.

Il secondo patto, invece, si pone come obiettivo il riconoscimento del diritto fondamentale di ogni individuo a liberarsi dalla miseria. La sentenza rileva inoltre che tali principi internazionali trovano riscontro nella nostra Costituzione, in particolare all’articolo 2, e di come sia necessario considerare anche la circolare del 30 luglio 2015 adottata dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo del ministero dell’Interno, in cui sono evidenziati tra i motivi della concessione umanitaria anche le “gravi calamità naturali o altri gravi fattori locali ostativi a un rimpatrio in dignità e sicurezza”.

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L’Onu non ha ancora riconosciuto una definizione condivisa di rifugiato ambientale © Ilia Yefimovich/Getty Images

Quanti sono i rifugiati ambientali

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) stima che, dal 2008, circa 21,5 milioni di persone all’anno hanno abbandonato le loro terre a causa di calamità naturali, come inondazioni, tempeste e incendi.

Tra gennaio e settembre del 2017, secondo Oxfam International, ben 15 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case per fuggire a eventi estremi: di questi, 14 milioni provenivano da paesi a basso reddito. Tra quelli più colpiti troviamo proprio il Bangladesh, seguito da India e Nepal. Ma ci sono anche le piccole isole del Pacifico, come le Fiji dove nel 2015 i cicloni hanno messo in fuga 55 mila persone e ridotto del 20 per cento il prodotto interno lordo nazionale (pil).

La previsione contenuta nel rapporto Lancet Countdown, pubblicato sulla rinomata rivista scientifica, è preoccupante: si parla di un miliardo di rifugiati climatici in giro per il pianeta entro il 2050.

Secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), inoltre, ci troviamo di fronte a un fenomeno irrimediabile, dal momento che “un aumento della temperatura e una maggiore incidenza di disastri meteorologici aumentano le percentuali di emigrazione” e che la migrazione sia una “strategia di adattamento per famiglie colpite da shock climatici”. Flussi migratori consistenti potrebbero sorgere anche a causa del significativo innalzamento del livello dei mari.

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Le previsioni di The Lancet parlano di oltre un miliardo di sfollati a causa dei cambiamenti climatici entro il 2050 © Daniel Berehulak/Getty Images

Quali soluzioni per accogliere i profughi ambientali

Quella del Tribunale di L’Aquila non è la prima sentenza a riconoscere un diritto di asilo legato ai cambiamenti climatici. Già nel 2016 il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso di un cittadino pachistano, proveniente dalla regione del Punjab, riconoscendo anche a lui la protezione umanitaria. Il cittadino, infatti, aveva lasciato la sua casa dopo che questa era stata devastata da un’alluvione che, oltre a distruggere tutti i suoi averi, aveva causato la morte dei suoi familiari.

Nonostante le coraggiose sentenze, portate avanti da singoli tribunali, non esiste una definizione universalmente accettata per i profughi ambientali. Le Nazioni Unite non hanno mai adottato formalmente il termine “rifugiato climatico” o “rifugiato ambientale”, mentre l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) si limita all’espressione “migranti ambientali”.

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