Cos’è il land grabbing, il fenomeno di accaparramento delle terre che sta distruggendo il pianeta

Cos’è il land grabbing e dove si pratica. Ma soprattutto quali sono i danni all’ambiente e alle comunità locali che popolano le terre del sud del mondo.

Il land grabbing è un fenomeno economico impetuoso, esploso nel 2008, che ha dato vita a un flusso di investimenti e di capitali – soprattutto provenienti da paesi sviluppati o emergenti – finalizzato all’accaparramento di terreni agricoli nelle regioni del sud del mondo. L’obiettivo di queste acquisizioni massicce, soprattutto in Africa, Asia e America Latina, è l’acquisizione di terreni per lo sviluppo di monocolture. Gli autori, i mandanti possono essere i governi di altri stati, i consigli di amministrazione di grandi aziende o investitori privati. Per molti si tratta di una minaccia alla sovranità dei paesi in via di sviluppo e alla sopravvivenza delle comunità locali che da secoli vi abitano. Non è un caso, dunque, se il land grabbing è stato definito una nuova forma di colonialismo, secondo alcuni esperti.

La nuova spartizione dell’Africa e il ruolo della Banca Mondiale

Sette anni fa la Banca Mondiale, l’istituto internazionale nato per distribuire aiuti economici agli stati in difficoltà, ha adottato una politica agricola basata sul libero scambio che ha tolto qualsiasi limite all’acquisto di terre appartenenti ai paesi del sud del mondo.

Lo scopo dell’istituto con sede a Washington, negli Stati Uniti, era stimolare il settore agricolo nei paesi emergenti o in via di sviluppo attraverso l’afflusso di capitali stranieri e dimezzare il numero di persone che soffrono la fame entro il 2015, in linea con quanto previsto dagli Obiettivi di sviluppo del Millennio stabiliti dalle Nazioni Unite.

Da quel momento è cominciata una corsa sfrenata all’acquisto di terre a basso costo che ha portato alla cessione da parte dei governi di milioni di ettari pur di far fronte alla grave crisi economica e alimentare degli ultimi anni. Una corsa che, a molti studiosi e storici, ha ricordato il periodo coloniale e la spartizione dell’Africa (scramble for Africa) in termini di terre e risorse naturali, avvenuta per mano degli stati europei a partire dalla fine del Diciannovesimo secolo.

Il Global justice now, già World development movement, un’organizzazione britannica che si batte per la giustizia sociale, ha definito tutto ciò “the new scramble for Africa”, la nuova spartizione dell’Africa che, al posto degli stati colonizzatori, vede come protagoniste soprattutto imprese multinazionali che mirano a prendere il controllo dei mercati alimentari.

land grabbing in brasile
Il contadino Zezito Oliveira, 83 anni, fa volare il suo cappello. Rio Pardo, Rondonia State, Brasile © REUTERS/Nacho Doce

Milioni di ettari ceduti ai privati, tra il 2006 e il 2012

L’organizzazione non governativa Grain che supporta i piccoli coltivatori e i movimenti locali che si battono per la difesa dei terreni ha pubblicato una lista dei paesi africani che tra il 2006 e il 2012 hanno maggiormente subito il fenomeno del land grabbing. Su tutti, Liberia, Guinea, Ghana, Congo, Sierra Leone, Nigeria, Senegal con porzioni di terreno ceduti che vanno da 500mila fino a circa 1,7 milioni di ettari (Liberia). L’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, nel discorso del giugno 2011 tenuto alla Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha definito “davvero inquietante il fatto che un rapporto abbia riscontrato che, solo nel 2009, un’area di terreno agricolo grande come la Francia sia stato comprato in Africa da fondi di investimento e altri speculatori”.

Land grabbing in Africa. Il Senegal di Wade e il caso Senhuile-Senethanol

Il primo paese africano ad aver subito il land grabbing in modo considerevole è stato il Senegal durante il periodo della presidenza di Abdoulaye Wade. Tra il 2000 e il 2009, il governo ha ceduto circa 650mila ettari di terra. Un caso che ha ricevuto molta attenzione da parte dei mezzi di informazione internazionali è quello relativo alla società Senhuile-Senethanol che ha acquisito 20mila ettari di terreno dalla comunità rurale di Fanaye. Il progetto ha vissuto diverse fasi e ha causato tensioni sociali e politiche sfociate, il 26 ottobre 2011, in scontri e proteste contro il governo che hanno portato alla morte di due persone e decine di feriti.

“Il land grabbing ha mantenuto un trend di crescita omogeneo rispetto al passato”, ha dichiarato Stefano Liberti, autore del primo reportage sul fenomeno del land grabbing. “Ma è anche aumentato il senso di consapevolezza. Questo significa che il tema è più coperto dai mezzi d’informazione nei paesi dove la libertà di stampa lo consente ed è entrato a far parte del dibattito pubblico. Grazie a questo interessamento, i governi agiscono con più cautela. Alcuni accordi sono anche saltati grazie alla pressione dell’opinione pubblica”.

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Campi di soia senza fine, in Brasile © Paulo Fridman/Corbis via Getty Images

Land grabbing in Africa. Il caso Daewoo Logistics Corporation e Tozzi Green in Madagascar

Un altro stato africano ad aver subito le conseguenze peggiori del land grabbing è il Madagascar, isola dell’oceano Indiano che ospita una biodiversità ricca e unica al mondo. La sua posizione “isolata”, per l’appunto, ha fatto sì che sul suo territorio si sviluppassero specie viventi che non si trovano in nessun’altra parte del mondo. Il fenomeno del land grabbing, in questo caso, ha quindi causato gravi problemi e momenti di grande tensione nel Paese dove si sono verificati alcuni degli episodi più controversi e studiati al mondo. Come il caso Daewoo Logistics Corporation del 2008 e il caso Tozzi Green del 2012.

I numeri e gli ettari del land grabbing

Ora, però, la situazione sembra essersi stabilizzata. La società civile, infatti, è sempre più attenta e si occupa e preoccupa del fenomeno. “In questi anni gli investimenti continuano, però senza un’accelerazione di rilievo rispetto al 2008, quando tutto ha avuto inizio”, continua Liberti. “Oggi la superficie concessa su base annua è pari a più o meno il doppio della Spagna. La maggior parte dei terreni non è venduta, ma data in affitto (leasing) per periodi molto lunghi. Di solito 25, 50 o 99 anni, anche se l’orizzonte di investimento è in realtà più ridotto perché chi vuole trarre profitto ha interesse a che questo si verifichi entro i primi cinque anni e poi solitamente abbandona quelle stesse terre”, spiega Liberti che di recente ha anche scritto un reportage dal titolo I signori del cibo sul ruolo delle aziende multinazionali che stanno trasformando il settore alimentare in un’industria, distruggendo il pianeta.

“Per questo motivo, a fronte di accordi poco chiari, si possono fare solo delle stime che vanno da 60 a 300 milioni di ettari. Questo significa – continua Liberti – una dimensione che va dalla Francia fino a tutta l’Europa occidentale. Io credo che la stima reale stia nel mezzo. Il problema più grave è che quello che si va ad imporre è un modello di produzione agricola diverso rispetto a quello familiare che esiste da secoli in quei luoghi. È un modello di produzione che ha un impatto enorme e basato sulla monocoltura”.

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Macchine agricole raccolgono la soia, Mato Grosso, Brasile © Paulo Fridman/Corbis via Getty Images

Ci vogliono nuove regole sul land grabbing

Il ripetersi di violazioni sembra aver fatto sorgere anche un’altra esigenza: regolamentare la politica agricola voluta dalla Banca Mondiale attraverso la stesura di linee guida che introducano forme di responsabilità nei confronti dei soggetti interessati ad acquisire terreni, che obblighino al rispetto dei diritti umani fondamentali, come l’accesso al cibo per tutti. Il documento della Fao pubblicato nel 2012, Voluntary guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forests, seppur non vincolante, va in questa direzione e prevede indicazioni anche sulla tutela dell’ambiente e sulla protezione delle popolazioni indigene che vivono in quelle terre da secoli.

Nel settembre del 2016, il land grabbing è stato anche inserito tra i reati ambientali più gravi secondo la Corte penale internazionale (Cpi) che ha sede all’Aia, nei Paesi Bassi. Le colpe dell’accaparramento delle terre sono quelle di affamare e deportare, ovvero costringere all’abbandono delle loro terre, migliaia di contadini e intere comunità in tutto il mondo. Per questo la Corte ha deciso di riservarsi di dire la propria “caso per caso” e di vigilare affinché le conseguenze di questa pratica non vadano a intaccare diritti umani inviolabili, sanciti dalla comunità internazionale.

Il land grabbing è un crimine contro l’umanità?

Il caso di studio che ha fatto sì che la Cpi si pronunciasse anche sul land grabbing – definendo più in generale la distruzione dell’ambiente un crimine contro l’umanità – è quello relativo alla Cambogia, dapprima archiviato (2014) e poi riaperto. In particolare, la procuratrice capo Fatou Bensouda si è espressa sulla cessione, spesso illegale, di terreni nazionali a multinazionali che hanno come conseguenza la devastazione dell’ambiente e del territorio. Il governo cambogiano è ora accusato di aver costretto 350mila persone alla povertà dopo averle sfrattate dalle loro abitazioni.

La sfida per i prossimi anni è trovare un equilibrio che risponda alle esigenze delle comunità locali che dispongono di aree agricole o forestali improduttive. Inoltre va studiato un meccanismo che ricompensi in modo adeguato i piccoli agricoltori, spesso vittime della corruzione dei sistemi politici e della mancanza di trasparenza. Garantire loro l’accesso alle risorse naturali presenti sul territorio, molto spesso unica fonte di guadagno per le famiglie.

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