Turchia, la notte dopo il terremoto raccontata da una volontaria a Gaziantep

Una volontaria italiana a Gaziantep ci ha raccontato la prima notte dopo il terremoto che ha sconvolto la Turchia, trascorsa accampata con alcuni colleghi.

Sono passate ormai alcune ore dal terremoto che ha sconvolto la Turchia e la Siria. Il numero delle vittime aumenta ora dopo ora, mentre elaborare una stima dei danni ad abitazioni, infrastruttre e al patrimonio artistico non è neanche lontanamente possibile. Lo sa bene la città di Gaziantep, popolosa città turca situata a pochi chilometri dal luogo dell’epicentro.

La giornata di ieri è stata dominata da uno stato di choc collettivo ancora saldamente presente, che si è riproposto durante la notte appena trascorsa. Anche i tanti volontari attivi in città, presenti a Gaziantep poiché la città riceve ogni giorno migranti provenienti dalla vicina Siria, Iraq, Afghanistan e non solo, si sono trovati da un giorno all’altro a dormire nella stessa stanza con persone che in una notte hanno perso quasi tutto. Una notte lunga e piena di apprensione, vissuta nel timore che la terra potesse tornare a contorcersi come poche ore prima.

Di seguito riportiamo il racconto di Virginia Pedretti, una dei volontari della Gaziantep Training and Youth Association.

Da ore cerchiamo di dormire. Abbiamo stabilito dei turni. Alcuni vegliano su una bottiglia di acqua mezza vuota, pronti a svegliare gli altri non appena l’acqua s’incresperà (segnalando nuove scosse di terremoto ndr).

É difficile fidarsi di persone appena conosciute ma siamo tutti esausti e la stanchezza alla fine ha il sopravvento. Quando qualcuno tossisce, o lascia cadere una forchetta, sobbalziamo tutti

Karina e Alina ripensano sicuramente allo scorso febbraio, quando si sono svegliate a Kharkiv nel mezzo dei bombardamenti.

Abdul Selam e Mahir appena svegli hanno invece pensato di essere di nuovo a Idlib ed Aleppo.

Chi ha già esperienze passate condivide idee su dove sarebbe meglio rifugiarsi, consigli su come dormire, a cosa pensare.

La mamma di Memik e Burak ha cucinato imperterrita una zuppa turca per tutti.  Una coppia con due bambini piccoli si è aggiunta al nostro gruppo in cucina. Nicolò e Lucas hanno invece lasciato a due vecchie signore le loro camere. 

Con i piedi bagnati nella neve, in strada così come nei teatri, nelle palestre, e nei parchi, tutti attendiamo snervati un’ultima scossa che nemmeno sappiamo se mai avverrà.

Abbiamo messo tutte le pentole che abbiamo di fuori, per raccogliere la pioggia. Ci laveremo i piatti o tireremo lo sciacquone fuori uso dei servizi. 

Nel dormiveglia, continuo a guardare la famosa bottiglia, perché non mi fido più delle mie percezioni.

Siamo tutti un po’ ubriachi di stanchezza, esausti per l’attesa e memori della notte di ieri. Immagino come potrebbe cadere l’edificio, per capire dove dovrei spostarmi.

Poi penso di esagerare e mi giro dall’altra parte e cerco di dormire. Trattengo il fiato e mi concentro sui rumori, perché il cane dei vicini finora ha preceduto le notifiche delle app digitali. 

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