Siamo fatti di terra

L’uomo deve ricordarsi che fa parte della natura se vuole sconfiggere il riscaldamento globale

Per sconfiggere il riscaldamento globale, l’uomo deve aprirsi alla rete che lo circonda, includendo piante e animali nella sua vita. Ne abbiamo parlato a Siamo fatti di terra, durante il Kum! festival.

Uno dei bisogni più importanti dell’essere umano è quello di sentirsi parte di una comunità. Del resto, è su questo bisogno che realtà come i social network hanno costruito i propri imperi, permettendo agli utenti di condividere la propria vita con un numero potenzialmente infinito di individui. Da un punto di vista evoluzionistico, questo bisogno di appartenenza ha giocato a lungo un ruolo predominante nello sviluppo delle relazioni tra tutti gli esseri viventi del pianeta, vegetali e animali. Per secoli l’uomo ha vissuto in armonia con animali e piante creando una rete circolare della vita che collegava tutti i viventi sullo stesso livello. Ad un certo punto però, questo equilibrio si è spezzato e l’essere umano ha trasformato la rete circolare in cui aveva vissuto fino a quel momento in una piramide, collocandosi in cima, da solo.

cave di marmo di Carrara
I paesaggi abbaglianti delle cave di marmo di Carrara. Qui l’incisione che oggi richiede ai macchinari un giorno di lavoro, un tempo ne richiedeva almeno 15 manualmente © Edward Burtynsky

È proprio della relazione tra uomo e natura che si è discusso al Kum! festival, evento curato da Massimo Recalcati, psicoanalista e saggista italiano celebre per le sue lezioni in tv con Lessico famigliare, tenutosi alla Mole Vanvitelliana di Ancona alla fine di ottobre. Quest’anno il festival ha indagato sull’origine della vita animale, umana e vegetale e sulla rete tesa tra questi tre mondi apparentemente separati. In questa cornice si è tenuto anche l’ultimo appuntamento del ciclo di incontri Siamo fatti di terra, organizzato da Alce Nero in collaborazione con LifeGate. Incontri volti a comprendere come il concetto e il significato di “salute” stia vivendo una rivoluzione. Durante il festival, sono intervenuti Daniel Lumera, direttore della fondazione internazionale My life design, e Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, tra i massimi esperti internazionali di piante e noto per le sue teorie sulla loro intelligenza; autore di libri come Verde brillante e La nazione delle piante. I due hanno intavolato una discussione sull’evoluzione dell’uomo, degli animali e delle piante nel mondo, gettando una nuova illuminante luce sul nostro ruolo nel pianeta.

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Daniel Lumera, Stefano Mancuso e Tommaso Perrone discutono su rete uomo piante animali durante kum festival
Da sinistra a destra: Daniel Lumera, Stefano Mancuso e Tommaso Perrone che discutono della rete in cui vivono uomini, piante e animali © Cristiana Rubbio

Predominare non è uno dei bisogni dell’uomo

“L’uomo ha bisogno di stare insieme e di stringere legami – ha spiegato Daniel Lumera –. Si può addirittura arrivare a dire che il senso di inclusione sia una vera urgenza evolutiva”. Ma quando si parla di convivenza, non bisogna relegare il discorso solamente alle relazioni tra umani. Al contrario, secondo Stefano Mancuso, “l’uomo ha bisogno di sviluppare una nuova consapevolezza dell’unione per aprire gli occhi sulla rete che lo circonda”, rete che comprende anche le specie animali e vegetali. È sul meccanismo della rete che si basa tutto il processo evolutivo del pianeta, non sulla piramide gerarchica secondo la quale l’uomo vive, che così si rivela essere insostenibile sia da un punto di vista etico sia evolutivo.

albero in stagno inserito nella rete della natura
L’uomo ha bisogno di sviluppare una nuova consapevolezza dell’unione per aprire gli occhi sulla rete che lo circonda, rete che comprende anche le specie animali e vegetali © Unsplash

Abusare della rete preclude all’uomo la possibilità di essere felice

In una logica circolare, la natura fornisce ai suoi individui tutto ciò di cui hanno bisogno, in una dimensione di scambi continui che ne mantengono l’equilibrio, anche a costo di eliminare eventuali fattori di disturbo. Nello schema piramidale invece, l’uomo abusa di queste connessioni, prosciugandole senza fornire niente in cambio. “Ogni anno le risorse finiscono sempre prima, accorciando spaventosamente la speranza di vita della specie umana: negli anni Settanta esse finivano il 31 dicembre, quest’anno sono finite a luglio. Per i restanti cinque mesi, l’uomo ha letteralmente rubato a se stesso e alla natura: un giorno avrà fame e non avrà più nulla di cui cibarsi perché avrà già consumato tutto. È per questo che l’uomo deve cambiare prima che la rete lo cambi, estinguendolo”, sottolinea il neurobiologo.

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Per ridurre l’impatto ambientale occorrono senza dubbio azioni radicali e condivise da parte dei governi di tutto il mondo. Anche le singole persone possono tuttavia contribuire a rallentare sempre di più l’arrivo dell’Overshoot day. La Fondazione Bcfn consiglia di scegliere il cibo con saggezza, aumentare il consumo di alimenti di origine vegetali e acquistare in modo intelligente, decidendo in anticipo cosa mangiare per evitare gli sprechi © Matthew Stockman/Getty Images

Lo schema piramidale mina la sicurezza dell’essere umano

Oltre a distruggere il pianeta, la situazione di solitudine all’apice della piramide in cui l’uomo si è auto relegato sta minando la sua possibilità di soddisfare anche altri bisogni. Negli anni Cinquanta del Novecento, lo psicologo statunitense Abraham Maslow ha teorizzato che l’uomo, per essere felice, ha bisogno di soddisfare delle esigenze che non riguardano solamente la necessità di nutrirsi, ma che comprendono anche il senso di appartenenza ad una comunità o il senso di protezione derivato dall’ambiente che lo circonda.

I cambiamenti climatici, i disastri naturali e gli eventi metereologici estremi, diretta e comprovata conseguenza delle attività umane, stanno minando questi stessi bisogni. “Se la temperatura della Terra aumenta anche solo di mezzo grado, il mare sommerge fino a cento chilometri di terra. E la gente che ci abita dove dovrebbe andare a vivere?”, ha chiesto alla platea del Kum! festival Stefano Mancuso. Infatti, i cambiamenti climatici sono considerati uno dei problemi più gravi della società dalla maggior parte delle persone e patologie come la solastalgia, una forma di disagio psicologico causato dai cambiamenti repentini dell’ambiente e dal degrado del mondo naturale, hanno iniziato ad essere riconosciute sempre più frequentemente. “Sono i giovani a sentire di più quest’ansia e si è visto durante gli scioperi” ha sottolineato Lumera.

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I giovani hanno manifestato contro i cambiamenti climatici, invitando i governi ad ascoltare la scienza e a ristabilire il contatto perso con la rete della natura © Alba Russo / Superbello

Le piante sono la soluzione per il benessere dell’uomo e del pianeta

L’ansia verso i cambiamenti climatici è comprensibile, ma secondo Stefano Mancuso, esiste una soluzione semplice, rapida ed economica per fermarli che gioverebbe tanto al pianeta quanto all’uomo: piantare alberi. “Per la precisione bisognerebbe piantare mille miliardi di alberi – ha spiegato il neurobiologo vegetale, le cui teorie sull’intelligenza delle piante hanno rivoluzionato la scienza –. Essi sono la sorgente di vita per eccellenza perché rappresentano il legame tra questa e il Sole. Piantandone a sufficienza, diminuirebbero vertiginosamente i livelli di anidride carbonica presenti nell’aria, migliorando la qualità della vita sulla Terra. Andrebbero posizionati nelle città, perché anche se quest’ultime rappresentano solo l’1,6 per cento delle terre emerse, generano ben l’80 per cento della CO2 del pianeta”.

L’uomo dispone quindi di una soluzione concreta per rispondere alla sfida più importante di questo millennio. Alcune municipalità, tra cui la città di Milano e la regione Lazio, hanno infatti cominciato ad avviare ingenti opere di piantumazione per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini, cercando di ristabilire, poco alla volta, il legame perso con la natura. La città di Lisbona è stata addirittura nominata capitale verde d’Europa per l’anno 2019 anche grazie al numero di piante che ha curato negli ultimi anni.

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Piantare più alberi nelle città aiuterebbe l’uomo a ristabilire il contatto perso con la rete della natura © Unsplash

L’uomo non può dunque considerarsi la specie migliore del pianeta e imporre una logica piramidale sull’ambiente per rispondere ai propri bisogni, perché la natura reagisce ad ogni stimolo a cui viene sottoposta e non ragiona in modo dittatoriale. Proseguire con questo atteggiamento porterebbe solo all’estinzione, sia perché così facendo un giorno l’essere umano non avrà più risorse da prosciugare, sia perché in qualche modo la natura risponderà a questo abuso. Come ha sottolineato Lumera “se le api si estinguessero sarebbe un disastro per l’ecosistema, ma se si estinguesse l’essere umano, nel giro di qualche decennio la rete avrebbe ripristinato il suo equilibrio. È per questo che l’uomo deve passare da un atteggiamento ego-centrico ad uno eco-centrico”. L’evoluzione ci dimostra come le piante, esseri viventi che hanno imparato a convivere per sopravvivere, abbiano fatto la scelta giusta e fornisce uno spunto di riflessione sul futuro che l’essere umano vuole costruire. L’isolamento, come si è visto, non funziona. È arrivato il momento di provare con l’inclusione.

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