Cooperazione internazionale

Il petrolio è il sangue della Terra e deve restare nel terreno, per la tribù degli U’wa

Atossa Soltani, fondatrice di Amazon Watch – ong che tutela la foresta pluviale e si batte per i diritti degli indigeni nel bacino amazzonico – racconta la sua lotta contro lo sfruttamento di petrolio e gas al fianco della tribù colombiana degli U’wa.

A fine novembre 2016, alla vigilia della firma del trattato di pace per la fine alla guerra che da mezzo secolo infuriava in Colombia, ho avuto l’onore di fare visita agli U’wa, una comunità indigena molto spirituale che risiede nella Colombia nordorientale, vicino al confine con il Venezuela.

Quella è stata la prima volta in quasi vent’anni di lavoro con gli U’wa che noi di Amazon Watch siamo riusciti a entrare nel loro territorio. Finora viaggiare in quel luogo è stato impossibile a causa del conflitto armato.

Gli U’wa si considerano i guardiani della loro terra sacra ancestrale. In forza delle loro leggi naturali, per secoli hanno difeso con successo la loro terra, nelle foreste nebulose andine. Hanno resistito ai conquistadores, ai missionari, ai coloni e, più recentemente, alle industrie petrolifere, ai guerriglieri, ai gruppi militari e paramilitari attivi nel territorio. Sono sopravvissuti a queste aggressioni mantenendo inalterata la loro lingua, la loro cultura e gran parte delle loro terre ancestrali, tenendo fede alla forza dei loro capitribù.

Io e il mio collega Andrew Miller ci trovavamo lì per assistere al Summit per la difesa della vita, del territorio, delle risorse naturali degli U’wa e facevamo parte di una delegazione di 22 persone. Nel nostro gruppo c’erano avvocati, capi indigeni, registi, artisti visivi, fornitori di energia solare della comunità e ricercatori di una decina di organizzazioni e collettivi. Siamo andati lì per dimostrare il nostro impegno continuo nei confronti degli U’wa e per la protezione di Kera Chikara, la loro terra.

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Atossa Soltani e Berito Kuwaru’wa © Amazon Watch

Gli U’wa, i guardiani del sacro

Amazon Watch ha cominciato a lavorare con gli U’wa nel 1997, dopo che loro avevano dichiarato che avrebbero preferito morire piuttosto che permettere alla Occidental Petroleum (Oxy), con sede a Los Angeles, di trivellare per estrarre il petrolio – una sostanza che gli U’wa considerano il sangue della Terra – nel loro territorio ancestrale. Gli U’wa avevano rilasciato anche un comunicato in cui dichiaravano che non era concesso estrarre petrolio dal loro territorio e in cui ricordavano la loro storia, nello specifico un episodio che rivive ancora oggi nelle loro canzoni e nelle loro cerimonie: nel Settecento un gruppo di U’wa commise un suicidio di massa per sfuggire alla schiavitù imposta dai conquistadores. Questo quanto affermava il comunicato:

Il rispetto per ciò che è vivo e per ciò che non è vivo, per il noto e per “l’ignoto” fa parte della nostra legge: la nostra missione nel mondo è narrarlo, cantarlo e onorare questa legge per mantenere l’equilibrio dell’universo…

Sappiamo che i Riowa (chi non fa parte della tribù degli U’wa) hanno messo un prezzo a tutto ciò che non è vivo, anche alle pietre che commerciano con il proprio sangue e che vogliono che noi facciamo lo stesso con la nostra terra sacra e con il ruiria, il sangue della terra che loro chiamano petrolio…

Tutte le offerte economiche che ci hanno fatto in cambio di ciò che per noi è sacro, come la terra e il suo sangue, sono un insulto per le nostre orecchie e una bustarella per ciò in cui crediamo… Da parte nostra, non ci sarà alcun tradimento della madre Terra, o dei suoi figli, che sono nostri fratelli. E non tradiremo nemmeno l’orgoglio dei nostri antenati perché la terra è sacra coì come ogni cosa che si trova su di essa.

Se per difendere la vita dobbiamo dare la nostra, lo faremo.

(Tratto dalla Lettera aperta ai colombiani, 1997)

La straordinaria leadership visionaria degli U’wa

Durante il nostro recente soggiorno nel territorio degli U’wa abbiamo imparato ad apprezzare il coraggio, il punto di vista e la determinazione che essi dimostrano da molto tempo e che sono stati di ispirazione per milioni di persone nel mondo.

Non appena siamo arrivati a Chuscal, nel territorio U’wa, siamo stati accolti calorosamente da Daris Cristancho, uno dei capitribù, e dalla figlia ventisettenne Aura Tegria, un’avvocata brillante e instancabile che negli ultimi anni è diventata una figura centrale nel nuovo processo avviato in difesa degli U’wa.

Anche l’incontro con Berito Kuwaru’wa, un personaggio importante nella comunità, è stato un punto saliente della nostra visita. Berito, anziano ex presidente degli U’wa, è stato il primo leader degli U’wa a diffondere il messaggio della proprio gente al resto del mondo.

Durante il Summit abbiamo sentito parecchie storie su Berito e il suo instancabile impegno che portò al riconoscimento della riserva indigena unita U’wa e abbiamo appreso che fu lui a espellere i missionari che rapivano i bambini U’wa – lui compreso – e li obbligavano a diventare cristiani. Negli anni Novanta, gli U’wa riuscirono a trasformare la struttura dei missionari in una scuola bilingue gestita dalla comunità, che divenne il simbolo della loro vittoria storica.

Berito fu anche una figura importante nella battaglia decennale della tribù che costrinse la Occidental Petroleum ad abbandonare il progetto sul territorio U’wa. Per la sua leadership visionaria, Berito ha vinto il Goldman environmental prize nel 1998 e oggi continua a essere una guida per la prossima generazione di U’wa, sempre pronto a condividere le proprie canzoni, storie e preghiere.

Al Summit, Berito ha espresso con passione il proprio obiettivo di espandere i confini della Riserva U’wa e di creare altre riserve indigene, Kuitua e Pedraza, dove vivono alcune migliaia di U’wa, e di unire quindi la nazione U’wa in un unico resguardo (riserva).

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Daris Cristancho, Berito Kuwaru’wa e Aura Tegria © Amazon Watch

Berito, Daris e Aura rappresentano tre generazioni di capi visionari che si uniscono a una lunga schiera di capi U’wa coraggiosi e dediti alla causa della propria gente, con molti dei quali abbiamo avuto l’onore di lavorare e viaggiare negli ultimi vent’anni. Sin dalla tenera età gli U’wa ricevono insegnamenti dai Werjaya (i saggi spirituali) e dai Kerakas (i guaritori) e imparano qual è lo scopo della loro esistenza: preservare l’equilibrio del mondo.

I Werjaya e i Kerakas costituiscono le autorità tradizionali degli U’wa e il loro compito è conoscere la storia del loro popolo, porsi come intermediari delle leggi della natura, comunicare con gli spiriti delle montagne e dei fiumi, istruire ogni generazione sulle leggi e sulla cosmologia.

Prima di compiere qualsiasi azione importante, gli U’wa prendono parte per intere giornate a cerimonie in cui meditano, cantano, compiono rituali e pregano. Parte del successo degli U’wa si deve alla loro resistenza tenace, a un’abile organizzazione e alle campagne mondiali, ma queste azioni sono legate a credenze e pratiche spirituali.

Per esempio nella primavera del 2001, quando la Oxy ha cominciato a trivellare creando il primo pozzo per raggiungere le riserve di petrolio che si trovavano al di sotto del territorio U’wa, i Werjayas e i Kerakas hanno osservato insieme tre mesi di digiuno, meditazione, preghiera e canto e chiesto agli spiriti dei propri antenati di nascondere il petrolio che si trovava sotto la loro terra. La strategia ha funzionato. La Oxy spese 100 milioni di dollari per trivellare a Gibilterra e avere accesso a un giacimento petrolifero che secondo le stime dell’azienda conteneva 1,2 miliardi di barili di petrolio ed era il più grande scoperto in Colombia da decine di anni. A maggio 2002 la Oxy ha abbandonato il progetto dopo aver annunciato che aveva trovato solo gas naturale e condensati.

Gli U’wa hanno ispirato molte persone in tutto il mondo con le loro dichiarazioni potenti e le loro azioni coraggiose. Sono sempre stati in prima linea nei dibattiti sui diritti indigeni e hanno sapientemente stretto alleanze globali con le associazioni di campesinos locali (contadini su piccola scala), gruppi di indigeni colombiani e reti di solidarietà globali. A un certo punto della loro lotta per fermare le trivellazioni della Oxy, 5mila contadini si sono uniti a loro per bloccare la strada di accesso al sito petrolifero per più di quattro mesi e 20mila colombiani hanno preso parte ad azioni di solidarietà in tutto il paese.

In un’epoca in cui la globalizzazione è guidata dalle multinazionali, la campagna degli U’wa è stata una delle prime missioni di solidarietà per i diritti indigeni e per promuovere la responsabilità d’impresa andate a buon fine. Gli U’wa sono stati anche i primi a chiedere di lasciare il petrolio sotto terra, un appello che è poi diventato un imperativo nella lotta contro i cambiamenti climatici in tutto il mondo, dal parco nazionale di Yasuní, in Ecuador, alle regioni dell’Alberta settentrionale, in Canada.

La guardia degli U’wa, protezione del territorio e amministrazione coraggiosa

Di recente gli U’wa hanno creato la Guardia indigena, un gruppo di oltre 400 giovani provenienti da tutto il territorio, molti dei quali sono figli di capi e anziani. I membri della Guardia indigena, con indosso gilè blu e in mano un bastone da cerimonia, hanno il compito di proteggere il territorio U’wa dalle varie minacce senza l’uso di violenza. Per prendere parte al Summit sono arrivati da varie parti del territorio U’wa, spesso dopo uno o due giorni di camminata su terreni scoscesi.

Al Summit abbiamo appreso di più sulla lotta degli U’wa per proteggere il monte Zizuma, il sacro luogo di origine di tutti i fiumi delle loro terre ancestrali. L’anno scorso, dopo una partita di calcio ad alta quota giocata per beneficenza sulla vetta innevata del monte Zizuma, la Guardia indigena ha chiuso l’accesso a questa area. L’area all’interno dei confini del parco nazionale di Cocuy, che si sovrappone alla riserva U’wa, è ancora oggi chiusa ed è protetta dalla Guardia indigena. La montagna è talmente sacra agli U’wa che solo i leader spirituali sono autorizzati, in rare occasioni, a salire sui pendii per comunicare con gli spiriti della natura. La lotta per il sacro monte Zizuma rappresenta un punto chiave nell’esercizio dei diritti territoriali da parte degli U’wa.

Un’altra vittoria che abbiamo celebrato al Summit for Life è stata lo smantellamento del progetto petrolifero di Magallanes nel 2015. Quando Ecopetrol ha cercato di costruire una nuova piattaforma e di creare un pozzo per le esplorazioni alla ricerca di gas in un’altra area del territorio ancestrale della tribù, lungo il fiume Cubogón, senza il loro permesso o consenso, gli U’wa hanno deciso di prendere provvedimenti. Durante il nostro ultimo giorno nel territorio U’wa, abbiamo visitato il sito e abbiamo appreso di più sulle azioni che hanno portato allo smantellamento del progetto.

Quando siamo entrati nel territorio U’wa abbiamo visto le montagne incantate avvolte nella nebbia estendersi in tutte le direzioni, una veduta quasi a 360 gradi. È stato impossibile catturarle in tutta la loro magnificenza. Le nuvole continuavano a salire dalle foreste e danzavano tra le vette verdeggianti. Oltre le montagne c’erano altre file di montagne visibili in parte e traslucide, che svanivano misteriosamente nel cielo. E al di là di queste montagne, come ci hanno detto, si trovano le alte cime innevate della catena del Cucuy, che sono visibili solo in condizioni atmosferiche adeguate.

L’ecosistema montuoso della foresta nebulosa fa parte delle sorgenti del bacino del fiume Orinoco. E non è solo sacro per gli U’wa, è anche uno degli ecosistemi tropicali più a rischio del Pianeta.

Gli U’wa sono ambientalisti infaticabili. Per abitudine e in forza delle loro leggi naturali, proibiscono l’accesso agli umani in gran parte del loro territorio e si dedicano alla protezione di animali e spiriti. Solo i Werjayas in rare occasioni possono entrarci per scopi spirituali. Questo spiega perché ci sono montagne coperte da foreste ben preservate a perdita d’occhio.

La prima mattina ci siamo incamminati all’alba con due leader, Daris e Aura, lungo il sentiero che porta a una confluenza di fiumi, per fare il bagno e prepararci per la giornata. Daris ci ha spiegato come fanno i Werjaya a comunicare con Sira, il Dio degli U’wa, attraverso i fiumi e i corsi d’acqua. Poi ci ha guidato verso il più piccolo dei due fiumi e ci ha detto che alcuni di essi sono usati per cerimonie curative perché portano via le energie negative. Gli U’wa non entrano in questi fiumi per fare il bagno. Ci sono altri ruscelli, come quello in cui ci siamo bagnati noi, che sono usati quotidianamente e servono per purificare e ripristinare le nostre energie.

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La Guardia indigena © Amazon Watch

I fiumi e le montagne sacre

I nostri fiumi non sono solo fiumi. Attraverso di essi noi comunichiamo con le divinità. Sono messaggeri e i messaggi fluiscono in entrambe le direzioni. Se i fiumi sono inquinati o se muoiono, noi non sappiamo più cosa vogliono gli dei e loro non potranno sentire né le nostre richieste né i nostri ringraziamenti.

(Lettera aperta ai colombiani, 1997)

La riserva U’wa si estende per 220mila ettari su cinque province, dalla vetta ghiacciata del sacro monte Zizuma (che arriva a circa 5.300 metri sopra il livello del mare) fino alla tundra alpina del Páramo, dove cedono il posto alle foreste nebulose ricche di biodiversità. Il loro territorio ancestrale occupa almeno 400mila ettari in più rispetto alla riserva che gli è stata legalmente riconosciuta.

Quando siamo entrati nel territorio U’wa abbiamo visto le montagne incantate avvolte nella nebbia estendersi in tutte le direzioni, una veduta a quasi 360 gradi. È stato impossibile catturarle in tutta la loro magnificenza. Le nuvole continuavano a salire dalle foreste e danzavano tra le vette verdeggianti. Oltre le montagne c’erano altre file di montagne visibili in parte e traslucide, che svanivano misteriosamente nel cielo. E al di là di queste montagne, come ci hanno detto, si trovano le alte cime innevate della catena del Cucuy, che sono visibili solo in condizioni atmosferiche adeguate.

L’ecosistema montuoso della foresta nebulosa fa parte delle sorgenti del bacino del fiume Orinoco. E non è solo sacro per gli U’wa, è anche uno degli ecosistemi tropicali più a rischio del pianeta.

Gli U’wa sono ambientalisti infaticabili. Per abitudine e in forza delle loro leggi naturali, proibiscono l’accesso agli umani in gran parte del loro territorio e si dedicano alla protezione di animali e spiriti. Solo i Werjayas in rare occasioni possono entrarci per scopi spirituali. Questo spiega perché ci sono montagne coperte da foreste ben preservate a perdita d’occhio.

La prima mattina, all’alba, ci siamo incamminati all’alba con due leader, Daris e Aura, lungo il sentiero che porta a una confluenza di fiumi, per fare il bagno e prepararci per la giornata. Daris ci ha spiegato come fanno i Werjaya a comunicare con Sira, il Dio degli U’wa, attraverso i fiumi e i corsi d’acqua. Poi ci ha guidato verso il più piccolo dei due fiumi e ci ha detto che alcuni di essi sono usati per cerimonie curative perché portano via le energie negative. Gli U’wa non entrano in questi fiumi per fare il bagno. Ci sono altri ruscelli, come quello in cui ci siamo bagnati noi, che sono usati quotidianamente e servono per purificare e ripristinare le energie.

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Territorio U’wa © Amazon Watch

Rinascita e resistenza

Dopo essere entrati in contatto con i conquistatori spagnoli, i commercianti di schiavi e i missionari, gli U’wa hanno perso due terzi della popolazione a causa di malattie portate dall’Europa. Negli anni Ottanta erano rimasti solo in 5mila. Di ricente il numero è cresciuto di nuovo e secondo le stime oggi gli U’wa sono 10mila, contando anche quelli che vivono fuori dalla riserva.

Le minacce che incombevano sul territorio e sulla cultura U’wa non svanirono quando la Oxy smise di trivellare. Dopo che la Oxy nel 2002 abbandonò il progetto nel complesso di Gibilterra, che si trova all’interno dell’area, nota come Siriri-Catleya, in cui è autorizzata l’esplorazione petrolifera, subentrò l’azienda statale Ecopetrol. La Ecopetrol cercò anche di fare test sismici nel cuore della riserva degli U’wa ma gli abitanti si opposero. Eppure, nonostante le forti obiezioni, la Ecopetrol scavò lo stesso altri due pozzi e alla fine trovò gas a sufficienza per dare il via alla produzione commerciale.

Il complesso di Gibilterra si trova sul sito di una fonte sacra, sulla terra riconosciuta per legge agli U’wa ma illegalmente sottratta dalla Oxy nel 2000. Negli ultimi anni la trivellazione, tramite la quale si producono liquidi di gas naturale (Lgn) di alta qualità, ha causato rotture nel terreno che hanno inquinato il vicino fiume Cobaria. Queste fuoriuscite non hanno fatto altro che inasprire i provvedimenti presi dagli U’wa per fermare il progetto.

Per definire ciò che gli U’wa chiamano “controllo territoriale”, a giugno-luglio 2016 la Guardia indigena ha organizzato una serie di azioni pacifiche al sito 3 di Gibilterra. Queste azioni sono durate per oltre due mesi.

Al Summit abbiamo saputo che gli U’wa con una singola azione coraggiosa riuscirono a fermare la produzione: circondarono l’impianto per 56 giorni, lo occuparono e staccarono l’alimentatore. L’associazione di contadini locali poi si unì all’occupazione per solidarietà. Gli U’wa, come sempre, erano disarmati e seguivano i principi della nonviolenza per difendere le propie leggi naturali. Negli ultimi giorni di occupazione, tre elicotteri pieni dei famigerati poliziotti antisommossa (Esmad) arrivarono lì per intimidire e cacciare gli U’wa con la forza. Dopo un periodo teso di stallo, questi ultimi instaurarono un dialogo con il governo nazionale.

Dopo dodici ore di incontri intensi tra gli U’wa e i ministri, il governo accolse alcune richieste degli U’wa mandando avanti la pratica per il riconoscimento legale di due riserve U’wa (Kuitua e Pedraza) e sospendendo le attività turistiche sul sacro monte Zizuma, in attesa dei controlli sul loro impatto sociale e ambientale. Tuttavia, la richiesta per la chiusura del complesso di Gibilterra fu respinta. Quindi gli U’wa continuano ancora oggi la loro battaglia legale per smantellare l’impianto di Gibilterra e annullare i permessi per estrarre gas e petrolio sulle loro terre.

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Indigeni U’wa all’impianto a gas di Gibilterra © Amazon Watch

Il capitolo successivo della lotta degli U’wa per riaffermare i propri diritti territoriali

Come afferma meravigliosamente questa dichiarazione tratta da un comunicato degli U’wa del 1998:

Noi non venderemo mai e poi mai la nostra madre Terra. Farlo sarebbe come abbandonare il nostro lavoro con gli spiriti per proteggere il cuore del mondo, che nutre e dà vita al resto dell’universo. Sarebbe come andare contro le nostre stesse origini e quelle di tutto il creato.

(Comunicato degli U’wa, 10 agosto 1998)

All’apice del conflitto contro la Oxy, uno storico che si occupava degli archivi nazionali contattò gli U’wa per informarli che aveva trovato negli archivi colombiani gli atti reali di proprietà terriera che risalivano al periodo dal Settecento all’Ottocento, ossia molto prima che fosse istituito lo stato colombiano. Questi atti riconoscono agli U’wa diritti assoluti, compresi i diritti di superficie e quelli di sottosuolo.

Gli U’wa allora hanno deciso di portare questi documenti alla biblioteca di Siviglia, in Spagna, per comprovare la loro autenticità con la versione che si trovava negli archivi della corona spagnola. Gli atti oggi fanno parte dell’attuale strategia legale degli U’wa che ha lo scopo di porre rimedio alle violazioni passate dei loro diritti e di difenderli da ogni tentativo futuro di avviare progetti distruttivi sulla loro terra sacra.

Con Aura Tegria a capo della strategia legale degli U’wa e con l’aiuto di un gruppo di avvocati di EarthRights International e del famoso collettivo colombiano di avvocati per i diritti umani Ccajar, gli U’wa hanno ripreso la battaglia legale iniziata nel 1997 presso la Commissione interamericana per i diritti umani (Iachr). Qualche settimana dopo il Summit, gli U’wa e il loro pool di avvocati hanno presentato un dossier sotto forma di petizione alla Iachr che adduceva prove dettagliate sulle pesanti violazioni dei diritti umani negli ultimi vent’anni. Secondo Aura, “gli U’wa stanno richiedendo l’adozione di misure necessarie a riparare completamente l’enorme danno culturale, sociale, ambientale, politico e spirituale”.

Con il caso presentato alla Iachr, gli U’wa continuano la strenua lotta per proteggere il proprio territorio ancestrale e richiedono un risarcimento e la cessazione delle aggressioni contro la nazione U’wa.

Un tuffo agrodolce nel passato

L’ultimo giorno che abbiamo passato nella terra degli U’wa, quando abbiamo visitato i luoghi della battaglia, i ricordi e le immagini degli ultimi vent’anni mi sono passati davanti agli occhi come un film. Ricordo molti momenti felici in cui abbiamo festeggiato le vittorie degli U’wa, come quando la Oxy ha abbondonato i suoi piani o quando fu smantellato il progetto di Magallanes.

Ricordo anche alcuni momenti davvero dolorosi. Né io, né gli U’wa, né nessuno dei loro alleati dimenticherà mai la tragedia straziante del marzo del 1999, quando ricevemmo la notizia che i guerriglieri delle Farc avevano catturato e ucciso brutalmente tre attivisti nordamericani che facevano visita agli U’wa.

Il ventiquattrenne Terence (Terry) Freitas aveva conosciuto gli U’wa quando questi erano venuti per la prima volta negli Stati Uniti, poi li aveva incontrati di nuovo quando erano andati a Los Angeles ad affrontare la Oxy, e per i due anni successivi era diventato il loro ambasciatore globale per la campagna che aveva lo scopo di fermare il progetto. Fondò il Progetto di difesa degli U’wa e fu a capo della coalizione di organizzazioni che per solidarietà lavoravano con gli U’wa. Durante il suo viaggio del marzo 1999, Terry aveva portato con sé Lahe’ena’e Gay, una leader culturale nativa hawaiana che faceva parte del movimento che promuoveva l’uso della lingua hawaiana, e Ingrid Washinowatok, una leader dei diritti degli indigeni di Menominee e attivista per i diritti indigeni anche presso le Nazioni Unite. Il loro omicidio è stato devastante per le loro famiglie e i loro amici, ma non ha fatto altro che rafforzare il nostro legame con gli U’wa.

Mentre ci avviavamo a lasciare il territorio U’wa, Berito ci ha raccontato del rapimento e ci ha mostrato il punto in cui i tre giovani erano stati fermati dalle Farc, catturati proprio davanti ai suoi occhi. Una profonda tristezza mi ha colto nel pensare agli orrori passati da quei tre uomini negli ultimi giorni della loro vita e ricordo ancora il senso incontenibile di devastazione che abbiamo provato tutti noi. Tragedie di questo tipo non sono una rarità in America Latina, specialmente nei 50 anni di guerra civile colombiana, durante i quali sono stati uccisi migliaia di difensori dei diritti sociali e indigeni e di loro cari.

Durante il Summit molti U’wa hanno reso omaggio e onorato gli spiriti di Terry, Lahe e Ingrid. “Noi che facciamo parte delle autorità tradizionali degli U’wa proviamo lo stesso dolore che provano le famiglie dei tre attivisti per i diritti indigeni,” ha detto un membro della comunità U’wa, “ma dobbiamo anche ricordare che loro continuano a vivere con noi, continuano a sostenere la causa degli U’wa”.

Durante il Summit un collettivo di artisti ha dipinto un bellissimo murale sui muri del centro incontri degli U’wa per rendere omaggio ai tre attivisti. Ricordare la tragedia nel posto in cui è avvenuta e onorare le vite di Terry, Ingrid e Lahe insieme agli U’wa è stato confortante e significativo.

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Un murale nel luogo di incontri degli U’wa, in memoria di Terry Freitas, Lahe’ena’e Gay e Ingrid Washinowatok © Amazon Watch

Una fonte di ispirazione per la solidarietà a livello mondiale

Gli U’wa sono stati uno dei primi gruppi indigeni con cui noi di Amazon Watch abbiamo avuto l’onore di lavorare a stretto contatto e abbiamo imparato molto da loro su cosa vuol dire essere solidali con le comunità indigene.

Gli U’wa hanno a cuore il nostro progetto di solidarietà. Aura e Berito hanno detto pubblicamente che credono che Amazon Watch e il Progetto per la difesa degli U’wa non siano stati creati da noi attivisti ma dalle preghiere dei Werjaya e dalla volontà di Sira. Questa interpretazione della storia della fondazione di Amazon Watch è bellissima, soprattutto se si considera che abbiamo iniziato a lavorare con gli U’wa sin dall’inizio.

Ricordo il giorno in cui ho conosciuto Berito Kuwaru’wa. Era l’ottobre del 1997. A quel tempo, Amazon Watch aveva solo un anno. Berito era appena andato a Los Angeles, negli Stati Uniti, per la seconda volta per dichiarare che la sua gente si opponeva al progetto petrolifero della Oxy sulle loro sacre terre ancestrali. Amazon Watch ospitava gli U’wa nella vecchia sede alla EarthWays Foundation, situata su un promontorio spettacolare che si affaccia sull’oceano Pacifico, a Malibù. Berito era arrivato accompagnato da Terry. Mentre camminavo vicino al promontorio per incontrare Berito per la prima volta, ammirai un panorama incredibile che non avevo mai visto prima. Guardando l’oceano, notammo più di cento delfini saltare fuori dall’acqua, uccelli che si tuffavano nei banchi di pesci, che balzavano fuori dall’acqua e alcune balene che spuntavano qua e là tra i delfini. È stato un momento incredibilmente unico. Ho accolto Berito e facendolo voltare verso l’oceano per fargli vedere tutti gli animali che erano venuti ad accoglierlo. Sembrava che anche madre Natura stesse mostrando il proprio sostegno agli U’wa.

Quando ho lasciato il territorio U’wa, in questo mio recente viaggio, ho provato un profondo senso di gratitudine per l’onore di avere documentato e avere appreso molto per oltre vent’anni da questa terra che ha rispetto per la cultura. Sono orgogliosa del lavoro che Amazon Watch ha fatto per aiutare gli U’wa e sono davvero felice di aver passato del tempo con loro. Gli U’wa sono guardiani del nostro futuro comune. Durante questo viaggio, abbiamo fermamente ribadito il nostro impegno nel continuare a offrire solidarietà a queste persone per gli anni a venire, e speriamo che anche chi verrà a conoscenza della loro causa in futuro vorrà sostenerli.

Insieme ai fratelli e alle sorelle Riowa, agli amici campesinos, i nostri fratelli minori, vorremmo manifestare solidarietà nei confronti di tutte le comunità del mondo che stanno lottando per proteggere la loro sacra catena montuosa, il loro sacro territorio, le vette innevate, l’acqua, l’oceano, posti dove si trova ogni tipo di specie e dove possiamo comunicare direttamente con esse per garantire armonia nel mondo.

Chiediamo anche alla comunità internazionale di continuare a sostenere la causa degli U’wa e a essere solidale con noi. Non vogliamo essere gli unici a proteggere il Kajka Ika (il territorio U’wa ancestrale) e l’intero Pianeta Blu, per proteggere la vita e l’esistenza di tutta l’umanità, tutto ciò che è vivo e che non è vivo.

Per noi, tutto è significativo – le rocce, le montagne, i fiumi – tutto esiste in rapporto con qualcos’altro. E questo rapporto deve essere mantenuto. Non possiamo continuare a distruggere Madre Terra, non possiamo continuare a estrarle il sangue. Non possiamo neanche continuare a usare tutte le risorse naturali a detrimento dell’ecosistema. Ecco perché invito tutti quanti a mettersi una mano sul cuore e a difendere la causa degli U’wa e tutte le cause che coinvolgono i territori indigeni.

(Daris Cristancho, nel sito del progetto petrolifero di Magallanes che è stato poi smantellato, 29 Novembre 2016)

L’articolo della direttrice di Amazon Watch Atossa Solani è stato pubblicato per la prima volta da Amazon Watch con il titolo Colombia’s U’wa Still Teaching Us How To Resist

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