L’aviazione privata “vola” anche troppo: le emissioni nel 2023 hanno raggiunto le 15,6 milioni di tonnellate di CO2.
La procura di Milano rinuncia all’appello. Il caso Eni in Nigeria è chiuso
Dopo l’assoluzione di Eni nel processo che la vedeva coinvolta in Nigeria, la procura di Milano ha deciso di non appellarsi al secondo grado di giudizio.
- Nel 2021, Eni viene assolta nel processo su un caso di corruzione internazionale in Nigeria.
- La procura di Milano ha deciso di non appellarsi al secondo grado di giudizio.
- Si chiude così un enorme caso giudiziario che ha mosso i primi passi nel 2009.
La procura generale di Milano ha rinunciato a ricorrere in appello contro la sentenza di assoluzione di primo grado nel processo per l’acquisizione di Eni e Shell del giacimento nigeriano Opl 245. Al centro del primo grado di giudizio, una presunta tangente che avrebbe coinvolto il colosso energetico italiano e diversi politici nonché affaristi e sulla quale ha indagato per diversi anni la procura di Milano con l’accusa di “concorso in corruzione internazionale”.
Tale processo si è chiuso il 17 marzo 2021, data in cui il tribunale di Milano ha assolto con formula piena – “perché il fatto non sussiste” – tutti gli imputati, tra i quali l’attuale amministratore delegato della compagnia petrolifera Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni. Rinunciando al secondo grado di giudizio, si chiude una enorme vicenda giudiziaria, per molti italiani seconda solo a Mani Pulite, iniziata nel 2009.
Eni e Shell versano 1,3 miliardi di dollari al ministro nigeriano
L’Opl 245 (Oil prospecting licence, ovvero una concessione esplorativa di idrocarburi) riguarda un’area delimitata situata in acque profonde (oltre mille metri), circa 150 chilometri al largo del delta del fiume Niger.
Il primo grado di giudizio ha ruotato intorno a fatti non contestati dalle parti chiamate in causa nel processo: il ministro del petrolio nigeriano Dan Etete prima si assegna l’enorme giacimento, l’Opl 245 appunto, e poi prova a venderlo attraverso la sua società privata Malabu a Shell ed Eni. Dopo qualche tentativo fallito, intervengono politici nigeriani in veste di mediatori. Eni e Shell versano un miliardo e 300 milioni di dollari che non finiscono allo stato africano, ma a Etete e agli intermediari.
Per l’approvvigionamento bisogna rivolgersi a personaggi “puliti”
La verità giudiziaria è ora che le operazioni svolte da Eni per acquisire il giacimento nigeriano non possono essere classificate come uno scambio corruttivo. La difesa di Eni è sempre stata quella di aver percorso l’unica strada percorribile, ovvero trattare con una controparte riconosciuta dal governo nigeriano.
Ma il problema è che lo scenario energetico globale vede ancora l’Italia rivolgersi a personaggi politici ambigui (Vladimir Putin in Russia, Abdelmadjid Tebboune in Algeria, Recep Tayyip Erdoğan in Turchia) pur di portare a casa quote di combustibili fossili (gas in particolare). La transizione energetica passa anche dalla scelta di partner strategici “puliti”. E su questo l’Italia non sta progredendo affatto.
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