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La prima vettura di grande serie alimentata a idrogeno è stata la Toyota Mirai, raffinata berlina caratterizzata da un’autonomia di 550 km e da un listino di circa 80mila euro. La casa giapponese, il più grande costruttore d’autoveicoli al mondo, ha affrontato investimenti ciclopici per immettere sul mercato quella che è universalmente considerata la testa
La prima vettura di grande serie alimentata a idrogeno è stata la Toyota Mirai, raffinata berlina caratterizzata da un’autonomia di 550 km e da un listino di circa 80mila euro. La casa giapponese, il più grande costruttore d’autoveicoli al mondo, ha affrontato investimenti ciclopici per immettere sul mercato quella che è universalmente considerata la testa di ponte di una possibile rivoluzione nella direzione della mobilità sostenibile. Un’auto iper tecnologica, con un prezzo però difficilmente accessibile alla stragrande maggioranza degli automobilisti. Un ostacolo che, ora, un gruppo d’ingegneri inglesi sostiene di poter superare realizzando un’utilitaria a idrogeno… nel sottoscala!
Il Regno Unito sta investendo nello sviluppo delle infrastrutture necessarie per una capillare diffusione dell’idrogeno. Un’evoluzione epocale per la mobilità d’oltremanica che ha stuzzicato la fantasia di molti tecnici, in primis quelli impegnati nel progetto Riversimple Rasa, dove il secondo termine evoca la classica “tabula rasa” degli antichi Romani e sta a indicare come il progetto della prima auto a idrogeno “fatta in casa” sia nato da un foglio bianco. La vetturetta, una city car a due posti, ha in realtà una doppia anima. La parte telaistica e l’abitacolo attingono al riciclo, tanto che alcuni pannelli e componenti non strutturali sono ripresi da elettrodomestici giunti a fine vita, mentre le linee sono tutt’altro che improvvisate, dato che il veicolo è stato disegnato da una mano celebre, vale a dire da quel Christopher Reitz che, dopo aver maturato esperienza nel Gruppo Volkswagen e in Nissan, ha contribuito a definire l’aspetto della nuova Fiat 500.
Riversimple Rasa nasce con l’obiettivo di ridurre al minimo gli attriti, così da ottimizzare i consumi d’energia a tutto vantaggio dell’autonomia. Un proposito cui contribuiscono gli pneumatici a bassa resistenza al rotolamento e il generoso ricorso sia alla fibra di carbonio – materiale con il quale è realizzata la scocca – sia all’alluminio, così da contenere il peso dell’auto in 580 kg. Per un confronto, basti pensare come una Fiat Punto si attesti a oltre 1.000 kg. Quanto al sistema propulsivo, nulla muta rispetto allo standard: la reazione chimica dovuta alla combinazione dell’idrogeno con l’ossigeno all’interno delle pile a combustibile produce energia che viene utilizzata dai quattro motori elettrici – uno per ciascuna ruota – attivi anche come generatori nelle fasi di frenata.
L’utilitaria inglese, dotata della trazione integrale a gestione elettronica, raggiunge una velocità massima di 100 km/h, per toccare la quale sono necessari circa dieci secondi, mentre il pieno d’idrogeno richiede tre minuti e porta in dote una percorrenza media di 480 km. Per la costruzione e commercializzazione dell’auto, prevista nel 2018, i tecnici inglesi contano di raccogliere un milione di sterline grazie al crowdfunding. Il prezzo finale dell’auto? Non superiore a 25mila euro. In Inghilterra, dove vige una legislazione meno stringente rispetto a quella comunitaria, sarà possibile ricevere l’auto anche in kit e montarla personalmente, salvo il superamento di un collaudo finale, così da contenere ulteriormente i costi.
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