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Un tempo rigogliosa custode di baobab millenari, simbolo della cultura subsahariana, la foresta di Bandia in Senegal è diventata nel giro di vent’anni una distesa di crateri. La colpa è di un cementificio che ora potrebbe addirittura incrementare le attività di estrazione.
C’era una volta una foresta incantata. Tra le fronde di baobab millenari cinguettavano uccelli dai colori sgargianti, danzavano babbuini e simpatiche scimmie. Un giorno gli esseri umani scoprirono che la foresta custodiva un tesoro: nel sottosuolo nascondeva giacimenti di calcare. Vollero impadronirsene. Cominciarono ad estrarlo per produrre cemento: man mano loro si arricchivano, il terreno s’impoveriva. Finché la foresta, un tempo così rigogliosa, si tramutò in una silenziosa distesa lunare, crivellata di crateri.
Questa non è l’unica fiaba senza lieto fine, ma la triste storia vera della foresta di Bandia, nell’ovest del Senegal. Custodiva bellissimi baobab, anche conosciuti come alberi della vita, simboli per eccellenza del continente africano. Adesso ne rimane soltanto qualche sopravvissuto. Secondo Mame Cheikh Ngom, professore di geografia presso l’università di Dakar, dell’area boschiva restano circa duemila ettari, pari ad un quinto della superficie originaria. “Oltre ai baobab c’erano manghi, eucalipti, acacie. Ora non si scorge più neanche un fiore”, racconta desolato il professore all’Agenzia di stampa francese Afp.
Ad uccidere gli alberi è stato lo sfruttamento incontrollato del territorio. Dal 2002 il cementificio Les ciments du Sahel estrae calcare dal sottosuolo, con una ventina di miniere a cielo aperto. Come se non bastasse i dirigenti dell’azienda, secondo la stampa locale, avrebbero presentato al governo senegalese un progetto di ampliamento, riuscendo ad ottenere la licenza per la gestione di altri 236 ettari di terreno. Un funzionario governativo ha replicato che l’autorizzazione non è ancora stata approvata in via definitiva e che il progetto al momento è in stand-by. Il ministro dell’Ambiente Abdou Karim Sall ha poi aggiunto che la tutela del paesaggio debba conciliarsi con la crescita economica del Paese.
De Bandia, qui fut l’une des plus belles forêts de baobabs du Sénégal, il ne reste qu’un paysage mortifère de cratères abandonnés. Et les projets d’extension d’une cimenterie qui exploite le sous-sol depuis 20 ans font craindre aux populations une désolation plus grande encore. pic.twitter.com/CL8R95q4UT
— Anne-Sophie Faivre Le Cadre (@FaivreLeCadre) October 30, 2019
Anche se in un comunicato il cementificio assicura che le attività industriali abbiano “tutt’altro che un impatto negativo sulla vita delle persone” considerando che “il villaggio di Bandia si trova a quasi cinque chilometri” dalla fabbrica, l’idea che queste vengano intensificate ha suscitato non soltanto le ire degli ambientalisti, ma pure le preoccupazioni degli abitanti, secondo cui le esplosioni all’interno delle cave fanno addirittura tremare i muri delle case. L’onnipresente polvere di calcare, inoltre, ha delle conseguenze sulla salute. “C’è stato un terrificante aumento dei casi di bronchite, polmonite e tubercolosi: dai bambini agli anziani, nessuno è risparmiato”, ha spiegato ad Afp Mariama Diéne, un’infermiera presso la clinica del villaggio.
In Libano, le richieste del popolo sono state accolte: dopo tredici giorni di proteste, il primo ministro Saad Hariri si è dimesso in diretta televisiva. La speranza è che anche le voci dei senegalesi vengano ascoltate, affinché la fiaba della foresta di baobab abbia finalmente il suo lieto fine.
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