
L’Europa ragiona su un piano da 800 miliardi e intanto vota per una maggiore sicurezza: inevitabilmente quei fondi verranno sottratti alle vere emergenze.
Grande successo della campagna europea #StopGlifosato per vietare l’erbicida. Approvate oltre un milione di firme raccolte in 22 paesi (ne erano necessari solo 7). Ora la palla passa alla Commissione europea.
1.070.865 firme raccolte in ben 22 paesi (rispetto ai sette necessari) dell’Unione europea – #StopGlifosato – per chiedere il divieto totale dell’utilizzo dell’erbicida glifosato, il più diffuso al mondo, su tutto il territorio comunitario sono state sottoposte alla Commissione europea e convalidate il 6 ottobre. È la quarta iniziativa dei cittadini europei (Ice) ad andare a buon fine da quando è nato questo strumento di democrazia diretta. La campagna era partita l’8 febbraio grazie all’iniziativa di 44 tra organizzazioni e altre realtà con sede in 15 paesi, come Greenpeace, Legambiente e il Pesticide action network. Tra queste c’era anche LifeGate.
Ora Bruxelles è obbligata ad ascoltare gli organizzatori della campagna entro i prossimi tre mesi, i quali avranno anche la possibilità di parlare nel corso di un’audizione pubblica al Parlamento europeo. Dopo aver raccolto tutti i pareri, le proposte e le informazioni necessarie, la Commissione europea può scegliere tra tre possibilità: proporre una riforma legislativa sul tema, agire in altro modo per raggiungere l’obiettivo della petizione o non agire affatto nel caso in cui la documentazione non fosse sufficiente per modificare la legislazione in vigore. In tutti i casi la Commissione è chiamata a redigere un comunicato che contenga le sue ragioni.
Attualmente i 28 paesi europei non sono riusciti a decidere sul rinnovo o meno dell’erbicida. Anche nel corso della riunione del 5 e 6 ottobre la Commissione ha deciso di non mettere ai voti alcuna proposta di rinnovo perché non si sarebbe giunti ad alcuna maggioranza. Il Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi (Plants, animals, food and feed committee, Paff) ha dunque rinviato il voto continuando a discutere sulla bozza di regolamento. Le prossime riunioni in agenda ora sono previste per il 23 ottobre e poi, ultima chiamata, per il 12 e 13 dicembre. Non si esclude la possibilità di una riunione straordinaria.
Nel frattempo il centro di ricerca sul cancro “Cesare Maltoni” che fa capo all’Istituto Ramazzini di Bologna ha inviato una lettera al ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina per chiedere un ruolo attivo da parte dell’Italia per frenare il rinnovo dell’utilizzo del glifosato in Europa allegando uno studio che “mette in evidenza gli effetti sulla salute” e che fa parte di un lavoro più complesso e di lungo termine. L’Istituto Ramazzini ha già partecipato alla decisione della relazione dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (la Iarc) che fa capo alle Nazioni Unite e che ha considerato l’erbicida “probabilmente cancerogeno”. Il testo aveva preso in esame cinque sostanze chimiche usate in agricoltura, tra cui il glifosato commercializzato per la prima volta dalla Monsanto, riscontrando una correlazione epidemiologica tra l’esposizione a quest’ultimo e il linfoma di non-Hodgkin con “prove convincenti che possa causare il cancro negli animali da laboratorio”.
“Il nostro studio pilota – si legge nella lettera firmata dalla dottoressa Fiorella Belpoggi, direttrice del centro Cesare Maltoni – non chiarisce le incertezze relative alla cancerogenicità del glifosato/Roundup sollevate dalle diverse Agenzie (Iarc, Efsa, Echa), ma sicuramente mette in evidenza effetti sulla salute altrettanto gravi, che potrebbero manifestarsi anche con patologie oncologiche a lungo termine, con un impatto notevole in termini di salute pubblica in quanto colpiscono la fascia di età infantile e adolescenziale e, per la diffusione planetaria di questo erbicida, potrebbero affliggere un numero enorme di persone”. Belpoggi suggerisce poi di autorizzare l’uso del glifosato per non più di 5 anni perché a quel punto “avremo i risultati del nostro studio a lungo termine” che “chiarirà la sussistenza dei possibili pericoli” e “se le patologie precoci riscontrate siano correlabili a lungo termine a patologie gravi come il cancro” o, “in caso di risultati negativi, di sciogliere tutte le incertezze, le discussioni e le polemiche attorno a questo composto”. Lo studio a lungo termine, cominciato nel 2015, coinvolge – oltre al Ramazzini – l’Istituto dei Tumori di Genova, l’Istituto superiore di sanità, la Mount Sinai school of medicine di New York e la George Washington University.
“Una prima fase sperimentale – conclude Belpoggi – è stata svolta presso il nostro Istituto nel 2016. Tale studio ha appena fornito i primi risultati, non ancora completi per tutti i parametri, ma assolutamente degni di attenzione. Lo studio ‘pilota’ […] è finalizzato a ottenere informazioni generali relative alla possibile tossicità del glifosato e del formulato Roundup in diversi periodi della vita (neonatale, infanzia e adolescenza), e soprattutto ad identificare possibili biomarker espositivi”.
Dunque, secondo il Ramazzini, si può considerare un successo anche il rinnovo parziale dell’erbicida, cinque anni invece di dieci, per dare il tempo alla ricerca scientifica di fare il proprio dovere e presentare, alla fine, la tanto attesa “pistola fumante” a chi poi deve decidere, legiferare e – in teoria – tutelare la salute dei cittadini, la nostra salute.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
L’Europa ragiona su un piano da 800 miliardi e intanto vota per una maggiore sicurezza: inevitabilmente quei fondi verranno sottratti alle vere emergenze.
Per la prima volta nel 2025 si celebrano le più grandi fonti di acqua dolce del pianeta, che fronteggiano la sfida dei cambiamenti climatici.
Un tribunale condanna Greenpeace a pagare 660 milioni di dollari. L’accusa? Aver difeso ambiente e diritti dei popoli nativi dal mega-oleodotto Dakota Access Pipeline.
In Italia sono 265 gli impianti ormai disuso perché non nevica più: rimangono scheletri e mostri di cemento. E l’esigenza di ripensare la montagna e il turismo.
Temendo la presenza di rifiuti tossici, la Groenlandia ha interrotto l’estrazione dell’uranio. Ora potrebbe essere costretta a ricominciare. O a pagare 11 miliardi di dollari.
L’organizzazione della Cop30 nella foresta amazzonica porta con sé varie opere infrastrutturali, tra cui una nuova – contestatissima – autostrada.
Incidente nel mare del Nord tra una petroliera e una nave cargo: fiamme e fumo a bordo, si teme lo sversamento di combustibile in mare.
Saudi Aramco, ExxonMobil, Shell, Eni: sono alcune delle “solite” responsabili delle emissioni di CO2 a livello globale.
A23a, l’iceberg più grande del mondo, si è fermato a 80 km dalla Georgia del Sud, dove ha iniziato a disgregarsi.