La proposta di togliere la scadenza all’autorizzazione delle sostanze attive dei pesticidi è contenuta in un pacchetto semplificazione della Commissione. Per gli ambientalisti in questo modo il profitto dell’industria prevale sulla salute.
Per lo chef Carlo Cracco la sostenibilità in cucina è un dovere. Tant’è che ha scelto di proporre nel suo ristorante stellato prodotti coltivati da lui stesso.
Quando varca la soglia di villa Terzaghi, lo chef Carlo Cracco si guarda intorno estasiato. Nonostante la mascherina, l’apparente atteggiamento serioso, i suoi occhi tradiscono la sua contentezza, quasi puerile, nel potersi finalmente ritrovare con amici e membri dello staff in un luogo incantevole come questa dimora storica lombarda, immersa nel parco del Ticino. E traspare anche la sua soddisfazione per aver organizzato questo evento, I weekend del gusto, un’occasione per far assaggiare a molti la sua famigerata pizza, tanto criticata, ma che lui addenta con gusto appena gliela porgono.
Alcuni lo ritengono un uomo presuntuoso, che si sente arrivato, ma quella con cui ci troviamo a chiacchierare noi sembra una persona completamente diversa. Una persona che ancora sa emozionarsi per le piccole cose, per la natura, i sapori, gli odori, tanto da conservare il coraggio per decidere, a 54 anni, di acquistare un’azienda agricola a Santarcangelo di Romagna, uno di quei borghi d’Italia che quando lo vedi t’innamori. Lì, ha scelto di seguire l’esempio dei nonni materni, che erano mezzadri, e coltivare prodotti che poi diventino la base del suo menu stellato in galleria Vittorio Emanuele II a Milano.
Un modo – come ci dirà lui stesso – per creare un collegamento indissolubile fra la città e la campagna, per far sì che i ritmi frenetici della prima si adattino finalmente ai tempi più lenti, e naturali, della seconda; uno sposalizio perfetto.
La sostenibilità in cucina. Una moda oppure un valore intrinseco della tradizione culinaria del nostro Paese?
La sostenibilità in cucina è un dovere. Perché comunque non basta essere bravi, capaci e fare bene la parte di trasformazione dei prodotti; bisogna anche cercare di farsi qualche domanda, di capire da dove e come si è arrivati a questo punto e da lì provare a capire meglio sia la provenienza sia la tipologia di scelta nell’offerta, e soprattutto cercare di impattare il meno possibile su quello che è il territorio, la terra e tutto quello che ci sta vicino. Per cui la sostenibilità non è solamente un modo per lavarsi la coscienza, ma dovrebbe essere invece una scelta ben precisa e legata ad alcune responsabilità nelle decisioni che si debbono prendere.
Cos’ha imparato dai suoi nonni, abituati a vivere in mezzo alla natura?
Mah, non è che io avessi imparato un granché perché comunque fuggivo via in mezzo ai campi, ero abbastanza piccolo. Però il fatto di stare a contatto con la terra ti fa capire di più la fatica e anche lo sforzo che ci vuole per ottenere dei risultati e soprattutto la variabilità di tutto quello che fai.
Una volta erano dei maestri perché una volta si aveva un po’ di tutto, per cui c’era l’uva bianca ma l’uva rossa, c’era il granoturco ma anche altre tipologie di cereali o di mais; per cui non si faceva mai solo una coltura. C’era il vitello, la mucca, c’era il coniglio e la gallina. C’era di tutto e di più.
Una volta, ovviamente, tutto questo serviva a mantenere la famiglia anche se era autonoma. Adesso è un po’ diverso, ci si concentra di più su alcune specialità, su alcune colture che sono quelle più legate al territorio, che però ovviamente implicano una necessità diversa rispetto a quella di una famiglia che una volta coltivava.
Cos’ha comportato la sua decisione di aprire un’azienda agricola in Romagna per il suo ristorante milanese?
Aprire l’azienda agricola è stato un passaggio fondamentale nel chiudere tutta una serie di scelte che erano state compiute prima. E a cui mancava un piccolo tassello. L’azienda agricola è stata proprio, diciamo, la “chiusura”. Essendo proprio nel centro di Milano si è anche un po’ più lontani da quello che è il contatto con il territorio e perciò quello ti riporta sempre un po’ più coi piedi per terra e ti fa capire come, attraverso delle scelte sostenibili e rispettose per l’ambiente, ecologiche nel senso di cercare di avere il massimo della cura del territorio, si possono avere i frutti sperati, che poi sono la cosa più bella, la ciliegina sulla torta, ma soprattutto sono un mezzo miracolo perché comunque riesci a collegare un centro con una parte molto esterna e a far sì che anche il menu viva seguendo un po’ quella che è la stagionalità e soprattutto l’andamento delle coltivazioni.
Dopo Expo 2015, la città di Milano si è fatta portavoce del concetto di alimentazione sostenibile? C’è la volontà da parte dei ristoratori di mettersi in gioco in tal senso?
Diciamo che l’Expo 2015 è stata la base su cui è partita tutta una serie di iniziative – che bisogna ancora rafforzare e portare avanti – legate al mondo del cibo, ma non solo del cibo inteso come prodotto, bensì come origine, come agricoltura, come rispetto dell’ambiente e tutto quello che segue. I ristoratori hanno la possibilità di unire quello che è il lavoro a tutta una serie di opportunità che ci ha lasciato l’Expo. Oltretutto, anche in questo problematico periodo post Covid, forse ancora di più quel concetto ritorna. Dobbiamo cercare di farlo nostro, sfruttarlo e soprattutto portarlo avanti nei progetti.
Lei ha detto di non rinnegare nulla del suo passato, nemmeno l’essere stato giudice di MasterChef. Pensa che i programmi televisivi possano contribuire a sensibilizzare i consumatori a comportamenti più virtuosi?
Non ho la bacchetta magica, sennò non sarei qui seduto dove sono adesso. Ognuno segue ciò in cui si ritrova maggiormente. Per cui se serva non sono io che devo dirlo, non sono io che posso dirlo. Non è la soluzione del problema, però è sicuramente un’opportunità.
Qual è l’obiettivo de I weekend del gusto?
L’obiettivo de I weekend del gusto è quello, innanzitutto, di cercare di aggregare le persone conservando quello che oggi si chiama distanziamento sociale, che non è altro che un rispetto delle norme. Qui lo si può fare perché abbiamo un parco meraviglioso, di cinquemila metri quadri circa, dove si può stare in sicurezza, si può stare a contatto con la natura e si va un po’ a rafforzare quello che è il concetto di territorio cercando di coinvolgere tutti i ristoratori e i pubblici esercizi locali. E soprattutto cercando di mettere insieme, attraverso giovani e meno giovani, un modo per riscoprire alcune delle bellezze che abbiamo e che tante volte, per il fatto che siamo vicini, consideriamo già acquisite. Invece vanno valorizzate.
Un’ultima curiosità: qual è il segreto della sua pizza e qual è invece un ingrediente di cui non potrebbe fare a meno?
L’ingrediente segreto della pizza è che a me piace, per cui è quello il vantaggio. Non la faccio perché ne ho bisogno, ma perché mi piace.
L’altro ingrediente è sicuramente il fatto di avere sempre, all’interno del nostro gruppo, una bella “cazzimma”, un po’ di forza. Questo ti sprona ad andare avanti, a vedere le cose in maniera positiva. Soprattutto ad essere ottimista e cercare sempre di restituire tutto quello che hai avuto.
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