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La Cina ha dapprima annunciato di voler eliminare il divieto di vendita di prodotti fatti con i corpi di tigri e rinoceronti. Quindi ha fatto retromarcia.
Aggiornamento 13 novembre – Dopo le grandi proteste sollevate dall’annuncio, arrivato alla fine di ottobre da parte del governo della Cina, di voler riaprire il commercio di parti di tigri e rinoceronti, da Pechino giunge una decisa retromarcia. In un’intervista pubblicata il 12 novembre dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, il vice-segretario generale del Consiglio degli Affari di stato, Ding Xuedong, ha spiegato infatti che la nuova regolamentazione non vedrà la luce: “Dopo aver studiato la questione – ha specificato il dirigente – la pubblicazione della norma è stata sospesa. I divieti continueranno dunque ad essere applicati. E gli illeciti saranno puniti con severità”.
Gli animalisti di tutto il mondo hanno accolto con sgomento e collera la decisione da parte del governo della Cina di riaprire il commercio di prodotti provenienti da tigri e rinoceronti. Le ossa delle prime, ad esempio, potranno tornare ad essere vendute. E lo stesso vale per le corna dei secondi.
Pechino ha fatto sapere in particolare che l’obiettivo è di rendere disponibili alcune “materie prime” utilizzate dalla medicina tradizionale. Ciò, per lo meno, in alcune “circostanze particolari”, secondo quanto precisato dallo stesso esecutivo della nazione asiatica. Ma l’esecutivo non ha nascosto anche la volontà di sostenere il mercato delle “opere d’arte” e “la ricerca scientifica”.
La controversa decisione è arrivata alla fine del mese di ottobre. È stato in ogni caso precisato che chi vorrà commercializzare parti di tigri e rinoceronti dovrà ottenere un’autorizzazione speciale. Procedura riservata, tra l’altro, soltanto ad alcuni soggetti. Ad esempio, per quanto riguarda la salute, soltanto i dipendenti degli ospedali riconosciuti dall’Amministrazione nazionale di medicina tradizionale potranno avanzare la richiesta.
Inoltre, i volumi commerciali saranno “controllati strettamente”. Quanto alle “opere d’arte”, esse saranno sottoposte alle autorità di controllo sul patrimonio, le sole che potranno autorizzare “scambi culturali temporanei” di manufatti fabbricati con parti dei corpi degli animali. Difficile immaginare che tali paletti possano convincere coloro che hanno difeso per 25 anni il divieto, istituito in Cina nel lontano 1993. Occorre tuttavia considerare anche il fatto che nella nazione asiatica il mercato nero è cresciuto fortemente nel corso del tempo, con forti scambi soprattutto con il Vietnam. Ma la nuova norma, secondo gli ambientalisti, non aiuterà, poiché favorirà la caccia.
“Attraverso questa scelta, il governo cinese firma una condanna a morte per i rinoceronti e le tigri selvatici”, ha accusato una responsabile dell’associazione Humane Society International. Secondo la quale la nuova disciplina farà sì che si instauri una sorta di “riciclaggio” dei prodotti provenienti dal bracconaggio. “La ripresa del commercio legale rischia non soltanto di fornire una copertura al traffico clandestino, ma stimolerà anche una domanda che era scesa dall’entrata in vigore del divieto”, ha aggiunto Margaret Kinnaird, responsabile biodiversità del Wwf.
SHOCK expressed by @HSIGlobal as #China lifts 25-year-old ban on #tiger bone and #rhino horn trade https://t.co/1taA92VVGR pic.twitter.com/4PfbG1rxgm
— HSI United Kingdom (@HSIUKorg) 29 ottobre 2018
La tigre, tra l’altro, è considerata tra le specie a rischio estinzione secondo l’Unione internazionale per la conservazione della natura. Senza dimenticare che il numero di esemplari allevati in cattività è cresciuto fortemente negli ultimi anni, arrivando oggi ad oltre seimila unità. Altrettanto in pericolo i rinoceronti, in particolare alcune specie come quelli neri.
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