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La crescita esponenziale che attende la mobilità elettrica fa gola all’industria petrolifera, pronta a convertirsi alla produzione di energia rinnovabile.
La mobilità del futuro è elettrica. Parola delle compagnie petrolifere. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma tra i soggetti maggiormente convinti che il domani sarà a batteria vi sono proprio i produttori di combustibili fossili. Non per consapevolezza ambientale quanto piuttosto per opportunità, dato che il proliferare dei nuovi veicoli alimentati ad accumulatori e gli ingenti investimenti che i costruttori d’auto stanno destinando al mercato a zero emissioni costringono i colossi dell’oro nero ad adeguare i piani strategici e modificare gli orizzonti.
La diffusione di massa dei veicoli elettrici è tutt’altro che remota. Giganti del mondo dell’auto quali Volkswagen, General Motors, Nissan e Toyota, così come specialisti del trasporto pesante come Scania e Mercedes, hanno dato vita a progetti di lungo corso che, entro il 2025, porteranno al debutto d’intere gamme d’inediti veicoli a batteria. Modelli caratterizzati da percorrenze prossime a 500 chilometri e da tempi di rigenerazione dell’energia sensibilmente ridotti rispetto ad oggi. Un trend al tempo stesso causa ed effetto della diffusione capillare delle colonnine di ricarica ad alta capacità. Un boom di tale portata non poteva lasciare indifferente l’industria petrolifera; dinanzi alla crescita della mobilità elettrica, i colossi dell’oro nero hanno reagito non opponendosi al nuovo corso che avanza, quanto piuttosto operando per essere partecipi delle trasformazioni. In sintesi, vogliono essere della partita.
Durante l’estate del 2016 la francese Total, una delle quattro aziende petrolifere più importanti al mondo insieme a Royal Dutch Shell, BP (originariamente British Petroleum) ed ExxonMobil, ha investito oltre un miliardo di dollari per acquisire il controllo del Gruppo Saft, specializzato nella produzione di batterie per il settore industriale e, soprattutto, per lo stoccaggio d’energia solare. Nel medesimo periodo, l’italiana Eni (un tempo Ente Nazionale Idrocarburi) ha annunciato un piano strategico del valore di 230 milioni di euro per la realizzazione di centrali fotovoltaiche di grandi dimensioni, riconvertendo aree industriali dismesse. E ancora, il colosso Royal Dutch Shell, secondo per dimensioni alla sola ExxonMobil, ha chiuso delle rilevanti acquisizioni strategiche nel settore delle rinnovabili, più precisamente investendo nell’eolico offshore olandese. Un progetto che porterà la compagna petrolifera dei Paesi Bassi a sviluppare il campo eolico che Amsterdam ha pianificato nelle proprie acque, così da garantire 2,1 gigawatt di energia pulita.
La conversione sostenibile dei colossi petroliferi non è dettata da ragioni ambientali quanto piuttosto d’opportunità. La pianificazione di una strategia a lungo termine che vada al di là dei combustibili fossili è considerata imprescindibile e l’ineluttabilità di questo cambiamento è data proprio dalla crescente diffusione delle vetture elettriche. Volente o nolente, l’industria del greggio è costretta a riformulare le proprie strategie, dato che il 54 per cento del petrolio prodotto al mondo è destinato all’autotrazione. Una quota destinata a ridursi sensibilmente grazie all’espansione della mobilità a zero emissioni. Shell, ad esempio, stima che dal milione attuale le auto a batteria diventeranno trenta milioni nel 2025 e 150 milioni nel 2040, con un conseguente calo della domanda di petrolio nell’ordine degli 1,3 milioni di barili al giorno. Più del consumo del nostro Paese.
Non esiste indicatore più realistico della crescita che attende la mobilita elettrica della “resa” proprio di coloro che, da questo boom, hanno più da perdere. E che non a caso si convertono dal greggio alla produzione d’energia elettrica rinnovabile. Come nella migliore delle favole, “i cattivi” diventeranno buoni?
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